Giovanni Paolo II, «memoria sempre viva»

Il postulatore della causa di canonizzazione, monsignor Slawomir Oder, racconta la forza del «messaggio della misericordia» del Papa polacco, che da Roma ha raggiunto i confini del mondo di Angelo Zema

«Sono stato nell’estremo nord del Canada, nel villaggio di Rankin, dove il vescovo locale ha consegnato la reliquia di Giovanni Paolo II a una donna anziana che ha offerto una testimonianza di una spiritualità profonda. Il suo messaggio è arrivato davvero ai confini del mondo». Monsignor Slawomir Oder, nel suo ufficio al terzo piano del Palazzo Lateranense dove lavora come vicario giudiziale del Tribunale diocesano, racconta a Roma Sette uno dei suoi ultimi viaggi in giro per il mondo. Da postulatore della causa di canonizzazione di Giovanni Paolo II, con un impegno che vedrà il suo suggello il 27 aprile con la proclamazione di Papa Wojtyla a santo, è diventato infatti una sorta di testimone itinerante della fede e della carica di spiritualità del pontefice polacco amato in tutto il mondo. La fotografia di quel lembo di terra nel Nord America sarà incastonata in un documentario polacco che sarà presentato alla vigilia della canonizzazione: un racconto di Giovanni Paolo II attraverso le storie delle persone semplici che in qualche modo sono venute a contatto con lui o che hanno sentito fortemente la sua testimonianza, pur non avendolo mai conosciuto. È il caso dell’anziana di Rankin, un piccolo insediamento Inuit nella costa nord-occidentale della Baia di Hudson. Anche lassù, nell’Artico, risuona il messaggio del Papa che ha gridato «Aprite le porte a Cristo» e che ha contribuito a scardinare con la forza della Parola i sistemi politici che opprimevano l’uomo al di là della cortina di ferro. È questa forza che il postulatore – rettore della chiesa di Santa Maria Immacolata e San Giuseppe Benedetto Labre, dove è custodita una reliquia di Papa Wojtyla – tiene molto a sottolineare. Una forza che, a distanza di nove anni dalla sua morte, non si è ancora esaurita.
Quella di Giovanni Paolo II è ancora una presenza viva.
Assolutamente sì. Le testimonianze sono tante: le lettere che continuano ad arrivare all’ufficio, il costante pellegrinaggio alla tomba del pontefice, l’enorme movimento di pellegrini che si sta mobilitando per partecipare alla celebrazione della canonizzazione. Ma anche la richiesta della reliquia itinerante che dal giorno della beatificazione sta percorrendo le periferie del mondo, per dirla con Papa Francesco, allo scopo di rafforzare la fede.

Una grande devozione, dunque. Ma quale attenzione ha notato ai contenuti del messaggio di Giovanni Paolo II?
Papa Francesco è il migliore interprete di questa realtà: il messaggio della Divina Misericordia, uno dei cardini del pontificato di Giovanni Paolo II, l’aspetto mariano, quello della vita sacramentale. Il messaggio della misericordia è nel cuore della gente. E nei cuori si rinnova, come un’eco, anche quel grido «Aprite le porte a Cristo»: io l’ho riscontrato in tante persone che ne hanno fatto un motto della loro vita o che vi hanno trovato la forza per andare avanti in alcune situazioni particolari.

C’è qualche storia che ritiene più significativa?
Il documentario di cui parlavo mi ha consentito di entrare in un contatto diretto, e non più solo epistolare, con la gente. Mi ha colpito molto, ad esempio, la devozione della Divina Misericordia coltivata nel contesto del genocidio in Rwanda, negli anni ’90: per molti ha rappresentato un punto di riferimento forte per sopravvivere, per ricominciare. Un’altra storia riguarda la vocazione di una suora di origine birmana, che ha avvertito la chiamata pregando sulla tomba di Giovanni Paolo II e l’ha custodita nonostante la situazione difficile di quel Paese: un segno di primavera per quella Chiesa.

Mentre è ormai vicina la data della canonizzazione, il pensiero va agli anni del lavoro impiegati per raggiungere questa meta. Quali sono i ricordi più significativi?
Questi nove anni, visti dalla meta raggiunta, sembrano quasi un istante. Eppure sono stati anni impegnativi. Ricordo in maniera vivida tutte le varie tappe: innanzitutto l’apertura della fase diocesana, la solenne chiusura a San Giovanni in Laterano, la storia del miracolo di Aix-en-Provence, accaduto ancora prima dell’inizio della fase diocesana per il riconoscimento dell’eroicità delle virtù. Ricordo l’emozione mentre aprivo la busta in cui si parlava della guarigione di suor Marie Simone-Pierre, l’ansia per una risposta che non arrivava in merito al contatto con la signora Floribhet in Costa Rica: adesso guardo tutto questo come fossero degli aneddoti, ma hanno impegnato la mia vita. E ancora, la gioia per l’autorizzazione dell’eroicità delle virtù, per il decreto del primo e poi del secondo miracolo, per la celebrazione della beatificazione in cui ho potuto vedere negli occhi di Papa Benedetto la gioia della Chiesa e ho potuto sentire la preghiera del popolo di Dio che gioiva per questo santo.

C’è qualche testimonianza che durante il processo l’ha colpita di più?
Girando il mondo, devo dire che i nunzi sono stati testimoni preziosi in molti casi sulla vita di Giovanni Paolo II, soprattutto per i viaggi apostolici. Colpisce fortemente l’atteggiamento del Papa alla fine della sua vita, quando passava tutta la notte in preghiera, e questo fa capire da dove venisse la straordinaria forza spirituale che caratterizzava quest’uomo ormai così fragile fisicamente.

Quali segni sono apparsi nel mondo dopo la beatificazione?
Intanto, sono nati in tutto il mondo gruppi di preghiera ispirati alla spiritualità di Giovanni Paolo II. Sono nate alcune famiglie religiose ispirate a lui, e alcune vocazioni, come quella della suora birmana, sono sbocciate grazie a lui. Un’iniziativa molto bella è l’erezione del monastero di vita contemplativa Mater Ecclesiae a Lagos, in Nigeria, dove i cristiani vivono un tempo di prova e una non facile coabitazione con l’Islam. Sottolineo poi la «peregrinatio» della reliquia di Giovanni Paolo II, opportunità importante per catechesi sul suo magistero e per accostarsi al sacramento della riconciliazione.

Qual è stato il rapporto di Papa Wojtyla con Roma e quale il sentimento dei romani che ha avvertito dopo la sua morte?
Giovanni Paolo II è diventato con tutto il cuore vescovo di Roma. Lo sottolineava sempre, con le parole, con i gesti, in ogni occasione, attraverso le sue visite. Ricordo la testimonianza di alcune persone che mi raccontavano la preghiera del Rosario recitata dal Papa per Roma. In una occasione a uno degli ospiti indicò la sua casa: «Io so dove abita, conosco la mia città, la mia diocesi». A Roma sono stato invitato in diverse parrocchie, nella mia chiesa è nato un gruppo di preghiera, in città è nata la prima associazione dedicata a lui e ufficialmente riconosciuta dal cardinale vicario. Roma è fortemente legata a Giovanni Paolo II. Ricordo l’incontro con una donna, un’ebrea, che mi disse di aver vissuto due volte la morte del padre: la seconda quando è morto Giovanni Paolo II. Sì, la sua memoria è sempre viva.

9 aprile 2014

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