“Evangelii Gaudium”, un’esortazione da brivido evangelico
Francesco sorprende nella sua genuinità fino a disarmare le obiezioni. Il suo invito alla gioia viene da un innamoramento nel quale le parole escono dal cuore suggerite da una luminosa intelligenza di Bruno Cescon (Agenzia Sir)
Grazie Papa Francesco. Perché tutti noi, credenti e non credenti, possiamo riscrivere in caratteri cubitali per la nostra vita e per il corso della storia presente le parole “Gioia del Vangelo”. C’è del coraggio in questo titolo dell’esortazione apostolica. Non nasce dall’«offerta di consumo», che «è una tristezza individualista che scaturisce dal cuore comodo e avaro, dalla ricerca malata di piaceri superficiali, dalla coscienza isolata». Viene invece da un affascinamento, anzi, se non fosse irrispettoso, da un innamoramento nel quale le parole escono dal cuore suggerite da una luminosa intelligenza. Ad esse corrispondono la sua vita e le sue convinzioni. Lo si è capito subito, fin dal suo apparire sul balcone della basilica di San Pietro. Il suo sorriso abituale è già un annuncio del Vangelo, fino a contraddire la stessa «mondanità spirituale», che «si nasconde dietro apparenze di religiosità e persino di amore alla Chiesa», travisato in gloria umana e in benessere personale. È una denuncia, un rimprovero ma non ferisce, non scoraggia; si trasforma in un impegno, in una promessa.
«Il fascino – insiste Papa Francesco – di poter mostrare conquiste sociali e politiche», la «vanagloria legata alla gestione di faccende pratiche» è di per sé un’accusa alle debolezze della comunità cristiana, ma non offende le persone perché le ama. L’innamorato può parlare schietto, senza essere pessimista; può denunciare in quanto, invece che ribellione, suscita conversione. Conoscendo le fragilità della vita umana, essendo stato immerso nel dolore delle popolazioni povere, avendo compreso il dolore delle donne, Bergoglio può affermare che «non è progressista eliminare una vita umana». E aggiunge che «non è un argomento soggetto a presunte riforme o a modernizzazioni». Da qui il dovere della Chiesa di prendersi cura dei più deboli, «dei bambini nascituri».
Sul terreno dei “valori non negoziabili” rivela tutta la continuità del suo magistero con quello dei Papi suoi predecessori. Ma più che la denuncia preferisce seguire la via del kerigma, dell’annuncio. La Chiesa è madre, perciò deve riflettere la bontà di Dio, la sua misericordia, invece all’esterno, ma forse anche all’interno, vien percepita come «una dogana» non «una casa paterna». Si rivolge a tutti i cristiani, Francesco, ma quel «noi ci comportiamo come controllori» apre diretto ai sacerdoti, ai vescovi stessi, ai confessori. Se fosse stato Papa Wojtyla a osare tanto, i media avrebbero detto che il Papa ha tuonato, sgridato, rimproverato. Papa Francesco sorprende nella sua genuinità fino a disarmare le obiezioni, il malumore.
E, allora, può concedersi molto di più. Anzitutto svegliare lo spirito missionario della sua Chiesa. Con delicatezza chiede di partecipare al suo sogno missionario per trasformare tutto: «Le consuetudini, gli stili, gli orari, il linguaggio e ogni struttura ecclesiale» al fine di adeguarli all’evangelizzazione. Se non fosse mite quanto energico questo invito del Papa si potrebbe ascrivere alle utopie rivoluzionarie. Nel suo cuore è un atto d’amore, nel suo pensiero un programma che intende avviare. Audacia della fede e creatività si coniugano insieme nel suo sogno missionario. Intende, però, condividerle con tutti i vescovi, con le Conferenze episcopali. Pensa seriamente e in modo ardito a una decentralizzazione e conversione del papato. Deve finire il «primato» della solitudine. Lo domanda l’universalizzazione della Chiesa attuale. Non si tratta di copiare la politica multilaterale degli Stati. Piuttosto occorre attuare in maniera diversa le relazioni ecclesiali senza escludere una chiamata in campo più forte del «genio della donna».
La Chiesa di Papa Francesco si riforma anche nelle sue strutture per stare nel mondo globalizzato, in rete, non per dominare come l’economia dell’«esclusione e iniquità» o «la cultura dello scarto». Davvero una esortazione da brivido evangelico.
27 novembre 2013