Educare conviene

di Filippo Morlacchi

In questi ultimi giorni mi è capitato di girare un po’ per le scuole: è tempo di saggi di fine anno nelle elementari, di gare sportive nelle medie, di premiazioni per gli studenti meritevoli nelle superiori… Sono occasioni in cui tutta la comunità scolastica – alunni, docenti e genitori – si ritrova insieme per un momento celebrativo di conclusione, magari con un po’ di fatica e quasi sbuffando, perché la stanchezza dell’anno pesa sulle spalle e queste manifestazioni sono sempre un po’ noiose… però poi alla fine della mattinata tutti sono contenti e sorridenti. E mi sono chiesto: perché? Solo perché finalmente arrivano le vacanze? Solo perché siamo alla fine? Mi sembra troppo poco… c’è dell’altro, a mio avviso. E allora, andando più a fondo, mi sono anche chiesto: ma è proprio giusto dare premi ai migliori? Non esalta forse la competizione? Non crea fossati? In fondo, perché premiare gli alunni che si sono impegnati? Non hanno semplicemente fatto il loro dovere? Un paio di queste premiazioni a cui ho partecipato comportavano perfino un premio in denaro: non è un’esagerazione? E mi sono venute in mente tante discussioni ascoltate in passato: «Se nostro figlio viene promosso senza debiti, gli abbiamo promesso il motorino…» – e subito un paio di genitori replicano seccamente: «Ma neanche per sogno, ci mancherebbe solo che nostro figlio si faccia bocciare!».

Beh, non penso di poter in poche battute risolvere questioni educative aperte e che causano discussione spesso accanite e violente, ma voglio esprimere il mio pensiero. Sono convinto che un riconoscimento del merito sia lecito, anzi giusto e perfino opportuno. Si potrà discutere sulle modalità (soldi o non soldi, questo o quello), ma non dobbiamo ferire i nostri bambini – o ragazzi: non cambia molto, sono tutti molto fragili, e lo sappiamo bene – con un mutismo indifferente. La maggior parte delle loro stravaganze le fanno proprio per attirare l’attenzione dei “grandi”. Loro ci tengono da morire a che noi ci accorgiamo di loro. Avete presente quando i bambini piccoli, di tre-quattro anni adocchiano una persona che non si è ancora accorta della loro presenza, e la salutano ripetutamente, con ostinazione, ripetendo «taaaoooo» (cioè un «ciao» stentato) e agitando la manina, fino a che quella persona non ricambia il loro saluto, incrociando lo sguardo? Tutti conosciamo benissimo l’appello tipico di ogni bambino: «Mamma, guarda!!!», urlato mentre sta facendo qualcosa che lui considera importante: un grido inesorabilmente martellato fino a quando l’adulto capitola, risponde con un «dimmi, amore, che c’è?» e si volta a guardare; il bimbo ripete: «Guarda!», e vuole solo un segno di presenza e di assenso…

Ebbene, sono convinto che anche dieci o quindici anni più tardi le cose non siano cambiate poi di molto. I ragazzi aspettano ancora che noi ci accorgiamo di loro, dei loro progressi e delle loro incertezze, di quello che fanno o che non fanno. Per questo un riconoscimento di merito equivale al «bravissimo!» che il bambino desidera dalla sua mamma quando ripete il suo petulante «guardami!!». Di più: in queste premiazioni spesso sono coinvolti anche i genitori, e anche per loro stingere la mano al dirigente che ha consegnato un attestato al proprio figlio è una legittima gratificazione. Esprime infatti la rassicurazione che, nonostante tante difficoltà, non sempre l’educazione fallisce.

Dirò ancora di più: anche gli alunni non vincitori ricavano un beneficio da queste premiazioni. A mio giudizio l’emulazione rimane più diffusa dell’invidia, almeno tra i ragazzi. «Si isti et istae, cur non ego? ». Se questi e queste ci sono riusciti – si chiedeva il giovane Agostino pensando all’esempio dei primi santi e sante del cristianesimo – perché io no? E così, seguendo quelle orme, è diventato il grande santo che tutti conosciamo. Mi sembra un messaggio particolarmente importante in questa stagione, che sembra proporre ai giovani di inseguire solo il successo folgorante, facile e spesso immotivato che viene dal mondo della televisione e dallo star system. Va invece spiegato con chiarezza ai ragazzi che lavorando seriamente su sé stessi possono migliorare le loro condizioni di vita, possono scegliere e costruire per sé un futuro migliore e diverso. Penso a quella ragazza della terza B, figlia di una bidella dell’istituto, premiata con la ragguardevole media di 9,6 e che – come mi raccontava il vicepreside – vede le fatiche dei genitori e capisce che lo studio può servirle davvero a migliorare il suo futuro. I suoi insegnanti si sono accorti del suo impegno, la incoraggiano e giustamente la premiano.

La scuola è anche questo. Valorizzare il buono che c’è – ed è ancora tanto, tantissimo! – significa «non lasciarsi vincere dal male, ma vincere il male con il bene» (cfr Rm 12,21). L’importante però è starci, con i ragazzi. Non lasciarli soli. Accorgerci dei loro progressi e valorizzarli. Far capire che ci aspettiamo, sì, risultati positivi e soddisfazioni; ma lo facciamo soprattutto per loro stessi, per il loro futuro, perché per ciascuno di loro desideriamo una piena realizzazione. E la loro gioia di crescere traboccherà su di noi. Ecco perché educare conviene. Conviene a loro, conviene a noi.

6 giugno 2008

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