Donne e lavoro, un percorso a ostacoli

A colloquio con Linda Laura Sabbadini, capo dipartimento per le politiche sociali e ambientali dell’Istat: il nodo delle dimissioni in bianco e le difficoltà di accesso. Il focus sul Lazio di Nicolò Maria Iannello

Un percorso a ostacoli: è quello che vivono le donne italiane per inserirsi nel mondo del lavoro e per sopravvivere al suo interno. Ad evidenziarlo i dati presentati nei giorni scorsi agli Stati generali sul lavoro delle donne in Italia organizzati dalla Commissione Politiche del lavoro e dei sistemi produttivi del Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro.

Le statistiche accendono i riflettori su una situazione già di per sé difficile e «ulteriormente aggravata dall’attuale crisi economica», dichiara Linda Laura Sabbadini, capo dipartimento per le statistiche sociali e ambientali dell’Istat, che delinea i nodi critici e l’andamento del rapporto donna-lavoro nel corso degli ultimi vent’anni. «In Italia lavora meno della metà delle donne e nella classifica europea il Paese si colloca agli ultimi posti, prima di Malta». E se dal 1993 al 2008 è possibile registrare un aumento del numero di donne che trovano un impiego, è anche vero che tale processo non è stato omogeneo su tutto il territorio. Infatti nell’arco di tempo considerato «l’incremento è avvenuto al Centro Nord con 1 milione e 471mila donne che lavorano, mentre il Sud raccoglie le briciole con 222mila donne in più che lavorano».

Così, al 2010 il tasso di occupazione femminile in Italia è pari al 46,1%. Guardando alle differenze regionali «nel Nord il tasso è pari al 56, 1% contro un Sud che scende al 30, 5% e in alcuni casi non arriva nemmeno al 30%». In un ‘Italia spaccata in due, il Lazio però «si colloca un po’ al di sopra della media nazionale con un tasso di occupazione pari al 49%»: a Roma, dove si registra la maggiore partecipazione delle donne al mercato del lavoro, «nel 2010 si è arrivati al 52, 5%». Anche nelle varie provincie della Regione esistono delle differenze: «Dati più bassi – prosegue Sabbadini- si registrano a Viterbo e Latina, e il più basso a Frosinone con un tasso di occupazione pari al 35,2%».

Una panoramica ancora meno incoraggiante quando si parla di giovani neolaureate che «oltre ad avere delle difficoltà di inserimento – spiega il capo dipartimento per le statistiche sociali e ambientali dell’Istat – incontrano dei problemi a permanere sul mercato del lavoro». E le circostanze si aggravano quando «una donna comincia a pensare di avere un bambino o quando ne ha già uno». Proprio a questo punto della vita, quando a un datore di lavoro sembra impossibile che la donna riesca a conciliare lavoro e famiglia, avviene il fenomeno delle «dimissioni in bianco, e sono circa 800mila le madri – sottolinea Sabbadini – che hanno dichiarato di essere state licenziate o messe in condizioni di doversi dimettere». Un fattore, questo, legato allo scarso protagonismo dei servizi sociali «che potrebbero alleggerire il carico di lavoro famigliare»: un carico di lavoro che in Italia «grava ancora sulle spalle delle donne che assorbono il 70% delle ore di lavoro domestico». E più aumenta il numero dei figli «e più crolla il tasso di occupazione», nota Sabbadini.

Uno sguardo infine alla condizione delle donne immigrate: «Anche se per loro il tasso di occupazione si attesta al 50% non mancano le criticità». Come la grande difficoltà a coniugare lavoro e famiglia «dato che un’immigrata con figli non ha nessuno nel nostro Paese che possa aiutarla nella cura dei piccoli, come le nonne per le donne italiane». Ma differenze vanno rintracciata anche in base all’appartenenza nazionale. Infatti, «anche a seguito di un differente atteggiamento culturale il tasso di occupazione più elevato si registra nelle comunità filippine per le quali è superiore al 90% e inferiore al 35% per quelle albanesi e marocchine».

8 febbraio 2012

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