Don Francesco, parroco di una città di tende

Pastorale da campo per un sacerdote dell’Aquila aiutato dalla parrocchia romana di San Camillo de Lellis. L’appello: «Copie gratuite della Bibbia per gli sfollati nelle tendopoli» di Emanuela Micucci

Case e copie della Bibbia o del Vangelo. Pensa alla ricostruzione spirituale e materiale dell’Aquila don Francesco Leone, delegato vescovile per la pastorale sanitaria e parroco di San Pietro Apostolo. Cinquecento anime nel quartiere più antico del centro storico, il più danneggiato dal terremoto del 6 aprile. Don Francesco vive tra gli sfollati nella tendopoli dell’ex-Italtel. «Il vescovo, monsignor Molinari – spiega – ha dato la possibilità ai sacerdoti di andare a dormire a Carsoli e venire ogni mattina nei campi con un pulmino della Protezione civile. All’Aquila siamo rimasti solo i cappuccini a piazza d’Armi, io e un altro sacerdote all’Italtel».

Una città di tende blu, 60, mensa e infermeria. Grazie alla solidarietà di altri sacerdoti don Leone allestisce una cappella da campo per la nuova parrocchia. Il terremoto infatti ha disperso la sua comunità: chi in altre tendopoli, chi sulla costa. Solo 10 parrocchiani sono nel suo stesso campo. Una diaspora che obbliga a ripartire da zero. Riorganizzare la pastorale, iniziare un nuovo ministero. Così, dopo la prima settimana, riprendere gli studi in teologia della pastorale sanitaria al Camillianum di Roma. Ogni settimana fa la spola tra l’Aquila e la parrocchia romana di San Camillo de Lellis che lo ospita. «I camilliani – racconta – sono stati ammirevoli nella solidarietà verso i terremotati».

«Se il terremoto ci avrà uccisi dentro – insiste don Francesco – rientreremo nelle case con la morte nell’animo, la peggiore distruzione per la nostra vita. Fidandoci e affidandoci a Gesù ricostruiremo cuore e anima. La speranza cristiana ci darà la forza per la ricostruzione materiale». Per la quale don Leone ha lanciato una proposta durante l’incontro del clero con il capo della Protezione civile Guido Bertolaso, la scorsa settimana a Coppito: ricostruire ogni nuova zona intorno a una chiesa, «per ritornare alle radici storiche dell’origine della città» con i 4 quartieri del centro sorti intorno a altrettante chiese da cui presero il nome. Per riformare e far rinascere le comunità e il tessuto sociale presenti prima del sisma.

«Vivere in tendopoli nel 2009 – spiega don Leone – è diverso rispetto agli anni Ottanta: la gente è più complicata, ha più esigenze, pretese, egoismi. Diventa molto faticoso per i volontari». Allora, nell’omelia il parroco spinge a collaborare con loro nella vita del campo, ad ascoltarli «perché ci stanno aiutando solo per solidarietà nazionale e civile. Le persone però stanno cadendo nell’assistenzialismo: tutto gli è dovuto, pretendono». Ogni giorno don Francesco visita i parrocchiani sparsi nei diversi campi. Non li lascia soli. Incoraggia, prega con loro. «Mi accolgono in tenda come se fossero a casa. Chiedono di spezzare il pane di Gesù con loro. Porto i viveri alle persone rimaste in garage o baracche vicini alle stalle per paura dei furti di bestiame». I fedeli desiderano la Bibbia. «Faccio un appello alle edizioni paoline e a chi vorrà donarci delle copie». A tutti infonde sicurezza. «Il mio ruolo – afferma il parroco – è far capire che il terremoto non è un castigo di Dio ma una prova. Il Signore nella Bibbia ci ha avvertito che ci sarebbero stati terremoti, malattie, carestie dicendoci di essere vigili. Non possiamo accusarlo. Ci ha detto di non preoccuparci perché non sarà la fine del mondo». I sismi passati in Italia e ogni 300 anni all’Aquila lo dimostrano. «Da 3 mesi Dio ci aveva avvertito e messo in allerta con scosse minori prima di quella fortissima delle 3.32 che, nonostante i 6.3 gradi della scala Richter, ha causato solo 300 morti su 70mila abitanti. Come non vedervi la mano di Dio?». Don Francesco poi con la Camillian task force ha iniziato una ricognizione nelle tendopoli per dare assistenza psicologica.

«Non ci sono state crisi religiose nel campo», prosegue. Al contrario c’è chi si è riavvicinato alla fede. Sfollati e volontari. Come Davide, un ragazzo della Protezione civile. Forza di una testimonianza viva di fede. La stessa che ha guidato don Leone la notte del sisma. Tra i crolli, il fumo, il terrore e le macerie salva molti parrocchiani. Per primi i bambini. «D’istinto e per carità fraterna. Ne sentivo il dovere morale come sacerdote», commenta. La voce rotta nel pianto al ricordo di Evandro Testa. «Sotto le macerie mi diceva: Tienimi la mano, don Francesco, non lasciarmi. Poi non ho più sentito la sua stretta».

21 maggio 2009

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