Don De Florio, in un libro 16 anni di vita coi rom

Presentato al Maggiore il volume del sacerdote pugliese dedicato alla sua esperienza di vita e di missione con i nomadi: «Con loro ho capito quanto non capivo della Parola di Dio» di Emanuela Micucci

«Chi l’ha detto che la casa è solo di mattoni? “Casa” è il luogo dove una persona, una famiglia si raduna, vive e non è necessario che sia di pietra o cemento, può essere anche una baracca di cartone. Chiusi nel nostro mondo, siamo convinti che il nostro modo di vivere, vestire, pensare sia quello giusto». Don Vincenzo De Florio squarcia il velo che copre il mondo dei rom presentando, ieri pomeriggio, 25 settembre, al Pontificio Seminario Romano Maggiore, il suo libro “Mi basta che tu mi vuoi bene. Il mio viaggio con i Rom” edito dalle Paoline, in cui racconta la sua esperienza di 16 anni di vita itinerante con i rom khorakhanè del Montenegro e cristiani calabresi della baraccopoli di Lamezia Terme. Un incontro nell’ambito della missione che i seminaristi stanno svolgendo nelle comunità rom di Roma.

«Volere imporre un benessere che non è alla loro misura – osserva il sacerdote – significa andare incontro ai fallimenti. Io sono contro i campi. Non è facile trovare una soluzione e dipende da gruppo a gruppo. Ma è indispensabile accostare un’etnia diversa dalla nostra liberi dai propri pregiudizi culturali; soltanto quando ci si avvicina con rispetto e simpatia si lasciano perdere le ragnatele presenti dappertutto in un campo zingaro e si ammirano situazioni impensabili». Se lo si guarda con i loro occhi, il mondo romanì «non è per niente miserabile»: occorre essere «liberi dalle nostre comodità che non sempre sono indispensabili, anzi diventano spesso stampelle che limitano la libertà».

Sbagli, pregiudizi, paure: un «castello di bugie» intorno ai rom nel quale don Vincenzo ammette di essersi sentito assediato quando decise di immergersi in profondità nel loro mondo, in un cammino di vita e di missione, insieme. Andando nomade tra i nomadi. «Siccome gli zingari “rubano i bambini” – afferma ironico -, sono entrato tra loro da bambino e sono stato subito “rubato”, catturato da un popolo così semplice, umano, accogliente». Tanto da “convertirsi”. Lui, parroco gagio (non rom) convertito dagli zingari.

«Stando in mezzo a loro sono riuscito a capire quanto non capivo della Parola di Dio». Una vera spoliazione. La rinuncia a tutti «i privilegi di essere parroco in una parrocchia prestigiosa», dopo anni di incarichi diocesani di rilievo: un «parroco fallito», colpevole di aver aperto la chiesa del Sacro Cuore di Massafra, a Taranto, a troppi zingari.

Pietra di scandalo, emarginato tra gli emarginati, don De Florio si fa servo dei poveri, i rom, nel cui volto «mi era apparso Cristo». «Il Signore gli ha fatto fare un percorso di libertà spirituale – sottolinea monsignor Pietro Maria Fragnelli, vescovo di Castellaneta, intervenendo alla presentazione -. L’esperienza umana, sociale e spirituale di don Vincenzo costituisce un dono con cui aiuta le comunità civili ed ecclesiali a capire di più la forza trasformante del Vangelo vissuto tra la gente “altra”».

«Un regalo alla Chiesa italiana – aggiunge monsignor Giancarlo Perego, direttore della Fondazione Migrantes -, alle nostre comunità, perché sappiano riconoscere tutti coloro che incontrano, in particolare i rom, i sinti e i camminanti, passando dalla compassione alla comprensione. La Chiesa oggi è chiamata a una nuova evangelizzazione e a fare dell’itineranza uno stile evangelico: non può esistere una pastorale solo stanziale. L’andare significa far entrare in casa, in città, in parrocchia ogni persona anche i più piccoli e poveri, che spesso portano il messaggio di salvezza».

26 settembre 2012

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