“Diaz”, violenza che mette in difficoltà

Nelle sale il film di Daniele Vicari sul G8 di Genova e l’irruzione dei poliziotti nella scuola elementare adibita a dormitorio di Massimo Giraldi

È appena uscito nelle sale “Romanzo di una strage”, ricostruzione ad opera di Marco Tullio Giordana dei fatti accaduti intorno al 12 dicembre 1969 quando una bomba esplose all’interno della sede di una banca a Milano, e già siamo sollecitati a segnalare un altro film, che ugualmente prende il via da un avvenimento più recente quanto a cronologia, ma con la stessa dirompente forza di drammaticità. Daniele Vicari, il regista, titola il film semplicemente “Diaz”, ma vi aggiunge il sottotitolo “Don’t Clean up this blood”, ossia “Non pulite questo sangue”.

Siamo a Genova, è il 20 luglio 2001 e l’attenzione della stampa e dell’opinione pubblica è catalizzata dagli scontri tra manifestanti e forze dell’ordine durante il vertice del G8. Poco prima della mezzanotte, centinaia di poliziotti fanno irruzione nel complesso scolastico Diaz-Pascoli, sede del Genoa Social Forum adibito per l’occasione a dormitorio. Agenti della Digos, della mobile e carabinieri circondano l’isolato, irrompono nell’edificio e colpiscono senza pietà i presenti. Più di 90 sono i feriti gravi, dalle loro testimonianze è nato il processo Diaz, che ha visto imputati e condannati 29 poliziotti.

Una pagina brutta, triste, dolorosissima. Difficile da raccontare, poco più di dieci anni dopo. Dice Vicari: «Abbiamo cercato di trasmettere il senso di spaesamento che tutti coloro che hanno partecipato al G8 ricordano (…)». E poi la domanda decisiva: «Fino a che punto posso spingermi nella rappresentazione di quella violenza?». Qui sorge allora qualche perplessità. Il grande cinema del passato ha detto che per fare denuncia non sempre è necessario «far vedere» tutto quello che rende la denuncia stessa esemplare e opportuna.

La scelta degli autori è stata quella di privilegiare l’escalation dei poliziotti che infieriscono sui partecipanti inermi: una brutalità tanto più crudele quanto più immotivata, stupida, folle. Nel moltiplicare da più punti di vista l’immagine del poliziotto che infligge senza pietà colpi di manganello alla rinfusa, o quella di giovani schiacciati a terra dalla paura e dal dolore, il copione sembra sollecitare uno sdegno tutto viscerale, di istinto, di rifiuto, una voglia di risarcimento affidata più all’emotività che alla ragione. Eppure i fatti sono accaduti e vanno affidati a una Storia che non deve aver paura di mettere in primo piano colpe anche gravi, e deve dimostrare di saper riflettere per evitare che l’errore si ripeta. Film da fare dunque, e da vedere, pur evidenziandone alcuni eccessi Il rischio di una violenza che mette in difficoltà lo spettatore è sempre da evitare.

16 aprile 2012

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