Detenuti sul palco per riflettere su San Paolo

“Non sono io forse libero?” è il titolo dell’opera portata in scena dalla compagnia “Il Ponte magico”, formata da attori del carcere di Velletri. I costumi realizzati nel penitenziario femminile di Latina di Paolo Pegoraro

Ci sono ancora spettacoli che, pur nella loro povertà, riescono a scuotere con la nuda forza delle parole. Uno di questi è “Non sono io forse libero?”, andato in scena nelle ultime settimane presso il Santuario Regina degli Apostoli e nella parrocchia dei Martiri Canadesi. Interpretazioni amatoriali, coreografia ridotta all’osso, elementari i costumi e la scenografia. Eppure basta sapere che gli interpreti sono detenuti del carcere di Velletri per cominciare a guardarlo con altri occhi. Se poi si aggiunge che il copione è centrato sull’esperienza della prigionia vissuta da San Paolo, ci si rende conto di trovarsi davanti a qualcosa di davvero unico. Il testo è nato dalla riflessione dei detenuti che partecipano a un laboratorio teatrale su alcuni brani dell’epistolario paolino. Molti si sono chiesti perché il Signore scelse proprio Saulo, un persecutore e un violento. Ma i temi affrontati dallo spettacolo sono tanti. Il credere nella possibilità di un cambiamento radicale. La sfida del pentimento, autentico o di comodo. Il giudicare gli altri. L’essere interiormente liberi anche in situazioni limitanti. Il significato della sofferenza o di una pena da scontare.

Il regista Antonio Lauritano conduce laboratori teatrali con detenuti dal 1993, ma solo nel 2006 è riuscito a fondare la compagnia “Il Ponte magico” presso il penitenziario di Velletri. «Ma l’obiettivo finale – racconta – è quello di poter avere, un giorno, una compagnia regionale delle carceri. Fondata sulla cooperazione. Con una parte attoriale a Velletri, una sezione costumi a Latina, un reparto scenotecnico a Latina, un laboratorio scenografico a Civitavecchia… Perché troppe volte c’è una specie di chiusura nella chiusura, e ogni penitenziario pensa solo alle proprie attività. Ecco perché la nostra compagnia si chiama “Il Ponte magico”: cerchiamo di far collaborare realtà apparentemente difficili da unire».

Un primo obiettivo lo hanno già raggiunto: i costumi sono stati realizzati dalle detenute del carcere femminile di massima sicurezza di Latina. Amalia Di Giorgio, educatrice, ci spiega poi quali sono i vantaggi pedagogici dell’attività teatrale: «In sezione il detenuto deve sopravvivere, quindi è facile che adotti delle strategie prevaricatrici. Il teatro, invece, è un’esperienza aggregante, che fa cadere le sovrastrutture dei detenuti e fa nascere uno spirito di collaborazione. Ed è anche un’attività che insegna a rispettare delle regole – c’è il copione, ci sono dei ruoli – senza sopraffare l’altro. Insegna a sostituire leadership negative – se ci proviene dal crimine organizzato – con il rispetto per un’autorità positiva. Fa nascere l’apprezzamento per il lavoro dell’altro. E poi il teatro ti fa essere protagonista positivo quando invece, fino a poco fa, eri sempre stato l’eroe negativo. Scopri di essere capace di fare altro».

«Tutti istituti di pena che hanno al loro interno laboratori teatrali godono una migliore qualità della vita – ci assicura Giuseppe Makovec, direttore del carcere di Velletri –. Perché il teatro libera, mette in gioco, sviluppa la fantasia e la comunicazione. Fa riflettere sui grandi temi della vita. E questo ha un effetto a cascata non solo su chi partecipa attivamente alle attività teatrali, ma su tutto l’istituto».
Le prossime date dello spettacolo? Il 7 febbraio a Moricone e il 20 giugno a Terni. «Ma credo proprio che ce ne chiederanno altre», aggiunge Lauritano, con un tono che è qualcosa di più di una semplice speranza.

4 febbraio 2009

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