Dal film di Winspeare uno sguardo sull’oggi

Con l’ultimo film si conferma regista di forte sensibilità, capace di ricercare un dialogo forse impossibile tra favola e realismo, utopia e cronaca, dolore e gioia del nucleo familiare di Massimo Giraldi

A conferma che il cinema italiano è in grado di percorrere strade molto diverse tra loro, anche al di là della commedia, esce in sala in questi giorni In grazia di Dio, il nuovo film di Edoardo Winspeare, regista impostosi all’attenzione negli anni passati per titoli quali Sangue vivo (2000), Il miracolo (2003), Galantuomini (2008). La storia prende il via quando, in seguito al fallimento della piccola impresa a conduzione familiare, quattro donne decidono di lasciare la città e di rifugiarsi in campagna. Qui, dopo lo scetticismo iniziale, si accorgono che il lavoro della terra e il baratto dei prodotti permettono di raggiungere risultati concreti e diventano l’occasione per iniziare una nuova vita.

La nonna, la figlia, due ragazze più giovani rappresentano tre generazioni che fanno grandi sforzi per adattarsi a una imprevista quotidianità. Eppure ognuna di loro mette qualcosa di importante nella consapevolezza di essere «in grazia di Dio». Tutto si svolge nei luoghi familiari al regista (Giuliano di Lecce, Corsano, Tricase e altre località del Salento): uno scenario abituale che torna con il supporto della scelta di affidarsi ad attori non professionisti. Nel ruolo di Adele c’è Celeste Casciaro, nella vita moglie del regista. Accanto a loro, la terra è una precisa coprotagonista: si pensa a Ermanno Olmi, al viscontiano La terra trema, al neorealismo. Ma al di là del passato, il coraggio del copione è quello di essere comunque e con forza uno sguardo sul nostro tempo, sull’oggi, su una contemporaneità dilaniata e offesa.

Winspeare cerca una sovrapposizione tra passato e moderno, tra richiami alla tradizione e seduzioni facili. Due opposti tra i quali trova pertinente collocazione il senso religioso, la spiritualità come collante sociale, la preghiera come tesoro di memoria e luogo di riconciliazione. La terra come valore artistico perché dà bellezza ai luoghi dove si lavora. Descrivendo un apologo irto di ostacoli e della voglia di superarli, Winspeare si conferma regista di forte sensibilità, di poetica concretezza, capace di ricercare un dialogo forse impossibile tra favola e realismo, utopia e cronaca, dolore e gioia del nucleo familiare.

Un ruolo importante lo giocano le immagini, calate in una fotografia lucida, dai colori nitidi talvolta sporchi: a seguire le ore del giorno, il cambiare del tempo, il volgere delle stagioni. «La storia – dice il regista – oscilla tra dolcezza e durezza. Avrei voluto essere più cattivo, ma il finale motiva bene il titolo che altrimenti rischia di non essere compreso».

31 marzo 2014

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