Crisi, bisogna coniugare impresa e ricerca

Paolo Leon, professore emerito di economia pubblica di Roma Tre, denuncia la mancanza di innovazione e un’imprenditoria troppo legata a prodotti tradizionali poco attenta ai bisogni della collettività di Graziella Melina

Per incentivare l’economia del Lazio, spiega Paolo Leon, professore emerito di Economia pubblica dell’Università Roma Tre, «bisogna mettere a frutto la possibilità di studio che c’è negli enti di ricerca», cercando di «legare quest’ultimo con il mondo della produzione e delle imprese».

Professore, come sta reagendo l’economia laziale alla crisi?
La crisi incide nel Lazio un po’ meno che nel resto d’Italia perché esistono due grandi stabilizzatori, tutti e due però localizzati a Roma. Quindi non influenzano necessariamente tutta la Regione: lo Stato centrale e il Vaticano. Questi due elementi non variano molto con l’andamento del ciclo economico. Per il resto, il Lazio sconta una parte dei problemi del Mezzogiorno, cioè la fuga delle imprese, soprattutto di quelle grandi, straniere, e poca imprenditoria di medie dimensioni. I settori più interessati sono più nel terziario che nell’industria, anche se un tempo il Lazio aveva una bella e grande esperienza di politica industriale.

In che modo il Vaticano è uno stabilizzatore economico?
Per vari elementi. Il primo è il turismo religioso. E’ un elemento, da sempre, importantissimo a Roma. Infatti non subisce lo stesso tipo di variazioni cicliche di quello laico e culturale. Questo significa che dal punto di vista economico è un volano per la città di grandissimo rilievo.

E quanto al terziario?
Questo settore è interessante a Roma per diverse ragioni. Prima di tutto per la ricerca. Ci sono numerose università e molti centri di ricerca, quasi tutti dipendono dal finanziamento pubblico, e quindi tutte sono in una fase di sofferenza. Infine, abbiamo un settore, tra il terziario e l’industriale, rappresentato dalle comunicazioni che hanno un ruolo abbastanza importante sia per le televisioni, che la carta stampata, e, in generale, per ciò che riguarda il settore informatico.

Dai dati della Camera di Commercio di Roma risulta un aumento del numero delle imprese. Secondo lei questo può essere il segnale di un’economia frammentata e quindi fragile?
Non sempre è vero in tutti i casi. Nel Lazio è probabilmente più vero che altrove perché si tratta in fondo di frammentazione di grandi imprese che ora sul territorio chiudono. Le professionalità specifiche si traducono, quindi, in un maggior numero di imprese.

Quali sono i limiti dell’economia romana?
C’è poca innovazione, un po’ perché una parte dell’imprenditoria è legata a prodotti tradizionali. Non abbiamo la sensazione di avere dell’imprenditoria progressiva, cioè quella che innova in ricerca e offre nuovi prodotti ed è particolarmente attenta ai bisogni della collettività, della società.

Secondo lei quanto incideranno i tagli nella nostra economia?
Su Roma riguarderanno il commercio, perché coinvolgeranno soprattutto i bilanci familiari. Il terziario nell’ambito del commercio avrà quindi un andamento nient’affatto positivo. Gli elementi positivi dell’ultima manovra sono la riduzione dell’Irap per alcune imprese, e un premio per chi assume giovani sia maschi che femmine. Questo potrebbe avere un impatto se la domanda complessiva crescesse, e su questo abbiamo molti dubbi perché la domanda estera cresce poco.

Sarebbe utile puntare sull’internazionalizzazione delle imprese?
Certo, è un desiderio. Ma di desideri siamo pieni. Noi abbiamo la possibilità di accedere ai grandi mercati, ma è un’operazione complicata: attraverso la propaganda che il turista può fare dei prodotti italiani una volta che torna a casa. Ma occorrerebbe che il turista sia trattato non come una merce da esportare, come succede a Roma. Già la permanenza del visitatore è molto corta, meno di 2 giorni, e poi la visita riguarda solo i luoghi più importanti. Il turista non si muove nel territorio, se non pochissimo. E, invece, il Lazio è ricchissimo di cose importantissime da visitare, anche dal punto di vista religioso. Mi ha sempre molto stupito che nessuno vada a trovare il luogo natale di Tommaso D’Aquino.

Su cosa occorrerebbe puntare per incentivare lo sviluppo?
Sarebbe molto importante che ci fossero giovani imprenditori. Bisognerebbe dare delle opportunità a quanti hanno delle idee fresche e innovative. Secondo, bisogna mettere a frutto la possibilità di ricerca che c’è nelle università a Roma e nel Lazio, cercando di legare il mondo della produzione e delle imprese con quello della ricerca. Infine, io sono contrario al duopolio Rai -Mediaset, semplicemente perché stringe un cappio intorno alla possibilità che ci siano nuovi imprenditori delle comunicazioni.

Lei è ottimista?
No, perché l’equilibrio economico generale dell’Italia non è buono, e dopo la manovra non saranno rose e fiori. A questa manovra serve non fare la crescita, ma essenzialmente mettere a posto i conti. Anche la parte di crescita è relativamente modesta. Spero sempre che una valida mano venga dal cielo a portarci un po’ di fiducia.

16 dicembre 2011

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