Così gli studenti incontrano i malati di Aids

di Filippo Morlacchi

«Chi ha paura di amare, ha paura di vivere, e così muore un po’ ogni giorno». È Carmela a pronunciare queste parole, davanti ad un folto gruppo di studenti di liceo. Le sue parole commuovono perché non sono semplice letteratura di meditazione: Carmela ha quasi cinquant’anni, ha due figli, è già nonna e ha l’Aids. La sua testimonianza è una delle voci che hanno arricchito l’incontro tenutosi il 1° dicembre scorso nella Casa famiglia Villa Glori, ai Parioli, in collaborazione con i licei Azzarita e Mameli. Ma sono ormai diversi anni che nel cuore della “Roma bene” si è sviluppato un prezioso dialogo educativo tra Villa Glori e alcune scuole.

La Caritas diocesana di Roma ha iniziato a occuparsi di Aids già nel 1988, quando la malattia era ancora quasi sconosciuta, aprendo una prima Casa famiglia per l’accoglienza dei malati. Oggi sono passati vent’anni da quell’inizio, e Villa Glori celebra l’anniversario con grande solennità, invitando studentesse e studenti dei licei limitrofi a partecipare della sua gioia.

Massimo Raimondi è da tempo responsabile della gestione della Casa famiglia (anzi: delle Case famiglia, perché in realtà si tratta di tre strutture distinte, una accanto all’altra, dislocate all’interno dell’omonimo parco, capaci di accogliere nel complesso 25 persone). Da alcuni anni, sotto il suo coordinamento e grazie alla collaborazione degli operatori, gli alunni dei due licei più vicini alla villa – l’Azzarita e il Mameli – vengono invitati a conoscere la realtà dei malati di Aids: dapprima gli operatori tengono alcuni incontri nelle scuole (ed esattamente nelle classi quarte), per presentare la realtà impegnativa e coinvolgente delle Case famiglia. Poi, il 1° dicembre (giornata mondiale della lotta all’Aids), sono gli studenti che vengono a visitare di persona gli ambienti di Villa Glori, per ascoltare la testimonianza di chi affronta qui la malattia e la sofferenza, e per riflettere sulla possibilità di fare volontariato presso la struttura.

Un tempo le speranze di vita per i sieropositivi e soprattutto per i malati di Aids erano estremamente modeste: uno o due anni, a volte pochi mesi. Per qualcuno ancora meno: un malato – ricorda Massimo, uno degli operatori – non ha superato il terzo giorno di permanenza nella struttura. Oggi, grazie alla ricerca e allo sviluppo dei farmaci retrovirali, le cose sono cambiate in modo significativo. E quindi il soggiorno dei malati si prolunga, spesso per diversi anni: per questo i malati non amano essere chiamati “ospiti”, bensì “residenti”. Quella è ormai per loro una vera e propria “casa”. L’unica casa che rimane loro.

Questo ha comportato anche un cambiamento dei rapporti reciproci e nei confronti dei volontari. È cosa ben diversa offrire un servizio estemporaneo – sia pur generoso, ma sempre limitato nel tempo – e gestire invece una relazione che diventa personalizzata, continuativa, diretta. L’incontro con Villa Glori è altamente educativo proprio perché impegnativo: aiuta a comprendere che la solidarietà non è un’astrazione, una generica filantropia, una prestazione caritativa occasionale da esercitare con distacco, ma nasce da un coinvolgimento personale, da una scelta di serietà e da una decisione che richiede costanza e senso di responsabilità. Valori decisamente “controcorrente”, nell’attuale «società liquida» (S. Bauman), in cui si vive di contatti facili e superficiali, per paura dei ben più impegnativi legami.

Il professor Claudio Santini, insegnante di scienze al liceo Azzarita, da anni coordinatore del progetto, racconta che non è stato facile superare la diffidenza iniziale (del resto vent’anni fa, quando don Luigi Di Liegro volle una casa per malati di Aids proprio nel cuore dei Parioli, scoppiò un vero e proprio scandalo). Ma pian piano proprio le relazioni umane di fiducia hanno contribuito a superare i pregiudizi e a creare un clima di sincera accoglienza e disponibilità. Il progetto educativo con le scuole è una vera e propria prova di solidarietà: da un lato i residenti della Casa offrono il loro contributo agli studenti, raccontando le esperienze personali, spesso tragiche, che hanno vissuto e che desiderano condividere con i ragazzi affinché non commettano gli stessi errori; d’altro canto, anche gli studenti capiscono che possono donare un po’ del loro tempo e del loro ascolto per far sentire questi malati meno soli e ancora utili, rispettati e amati nella loro singolarità irripetibile. «La strategia del terrore – aggiunge il professor Santini – è stata spesso adottata come strumento di prevenzione dell’Aids, ma la via della conoscenza reciproca e della solidarietà si rivela infinitamente più efficace». E infatti hanno preso la parola anche due ex-alunni del liceo, Marco e Luca, rivelando che il contatto con queste persone, uomini e donne che ricominciano a vivere ogni giorno, ha aiutato anche loro a capire il senso della vita. La crescita – hanno aggiunto i ragazzi – si fa con il passaggio dalla «paura» (del contagio) alla «coscienza», cioè alla consapevolezza che la vita è un bene prezioso, da spendere sempre responsabilmente.

L’appuntamento più importante delle celebrazioni per il ventennale è rappresentato dalla Messa che il cardinale Vallini, vicario del Santo Padre, presiederà a Villa Glori venerdì 5 dicembre, portando la sua parola di conforto e di incoraggiamento a residenti e operatori. Ma è prevista anche l’installazione di una mostra fotografica. Sara Iannucci, fotografa e figlia di una volontaria, ha raccolto una serie di scatti in bianco e nero, realizzati nel corso di un anno e mezzo, che ritraggono la vita della Casa famiglia. Istantanee che descrivono la quotidianità di una vita ordinaria, ma anche le occasioni di festa, presentando sguardi incredibilmente sereni e sorrisi mesti, corpi segnati dalla sofferenza e volti straordinariamente espressivi. L’esposizione, ad ingresso libero, sarà aperta dal 6 dicembre 2008 al 15 gennaio 2009 (feriali: 17.00-19.00; festivi: 10.00-12.00 e 15.00-18.00). Il titolo della mostra è emblematico: “La casa della vita”. Perché in quella Casa dove spesso – purtroppo – si muore, c’è anche una vita che scorre profonda e impetuosa. Una vita fatta di condivisione, di essenzialità, di comprensione, di fatica e di dolore resi vivibili perché trasfigurati dall’amore. E così anche i liceali possono imparare da queste persone, integrando quello che apprendono sui banchi di scuola con quello che insegna la Casa Famiglia. Una vera “scuola di vita” che arricchisce la “vita della scuola”. Perché, nonostante tutto, c’è chi si impegna, anche oggi, per una scuola migliore.

5 dicembre 2008

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