Cosa significa Irc oggi?

di Filippo Morlacchi

Ho conservato con cura un brillante articolo di Andrea Camilleri pubblicato su la Repubblica dell’8 ottobre 2000. A quell’epoca ero coinvolto nel mondo della scuola solo in modo marginale (facevo quattro ore settimanali nella scuola cattolica di fronte alla parrocchia), ma quel pezzo graffiante, intitolato significativamente “Quei preti in cattedra” mi aveva profondamente colpito.

Erano i ricordi di scuola relativi all’«ora di religione» raccolti e chiosati dall’anziano scrittore siciliano. Un testo ruvido, a tratti aggressivo e perfino intenzionalmente sgradevole, ma che mi aveva fatto molto riflettere. Camilleri descriveva, uno dopo l’altro, i preti che gli avevano insegnato religione nei diversi ordini di scuola: impietosamente ne metteva a nudo i difetti, i tic, le stramberie, le confusioni mentali e le connivenze con il regime fascista (le lezioni del docente del ginnasio «invariabilmente terminavano con due secchi ordini: “Saluto al Duce!” e “Segno di Croce!”») e tante altre miserie… Nei confronti di qualche prete affiorava, qua e là, un vago sussulto di nostalgia – indirizzato forse più a quella stagione della vita ormai da lungo tramontata, che alla persona del docente in quanto tale. E avendo poi raccolto, in un rapido sondaggio, le opinioni degli amici e dei compagni sui loro personali ricordi dell’ora di religione, Camilleri riferisce di aver ricevuto due sole risposte: «Mai mi sono annoiato tanto» e «Mai mi sono divertito tanto». «Le due risposte – sottolineava – sono ugualmente spiazzanti, perché è chiara la loro non pertinenza rispetto a una materia tanto, almeno sulla carta, impegnativa. Ma rispecchiano la verità».

E proseguiva, riferendosi al presente: «Di che cosa si parla durante l’ora di religione? Si continua, come ai miei bei tempi, a non parlare di religione. Gli insegnanti più avvertiti parlano ai ragazzi dei loro problemi, dalla droga al sesso, dalle stragi del sabato sera alla violenza sportiva. Molto lodevole, ma non è un insegnamento di religione». Così il padre del commissario Montalbano chiudeva il suo articolo, convinto della perfetta inutilità dell’ora di religione. Ora come allora, nei secoli dei secoli, amen.

Ma è davvero così? Personalmente, non ne sono convinto. E in questa rubrica vorrei cercare di mostrare perché vale ancora la pena scegliere l’ora di religione. Senza fare lo struzzo davanti alle lacune, talora gravi, di alcuni insegnanti. Ma guardando la realtà con rettitudine e senza pregiudizi. Un esempio: qualcosa è certamente cambiato rispetto alla giovinezza di Camilleri, quando uno dei suoi docenti, un prete sulla trentina, «pretendeva che stessimo in perfetto silenzio e assolutamente immobili mentre lui, per tutta l’ora, leggeva il giornale». Beh, oggi non ci crederebbe nessuno. Insegnanti di religione che leggono il giornale forse ci saranno ancora, ma nessuno certamente è più in grado di pretendere anche il silenzio della classe!… Al di là della battuta, è innegabile che anche tra gli insegnanti di religione – come del resto tra insegnanti di qualunque altra disciplina – ci siano i fannulloni, quelli demotivati e forse perfino degli incompetenti. Ma la maggioranza di loro, per quanto io riesca a cogliere dal mio osservatorio, è sana, volenterosa, appassionata per l’educazione e la trasmissione di valori umani e cristiani, e svolge un compito assolutamente prezioso, forse per molte ragazze e ragazzi ancora insostituibile.

L’anno scorso ci siamo intrattenuti in una riflessione a tutto campo sul “pianeta scuola”; quest’anno desidero soffermarmi sul quell’area del pianeta che gli addetti ai lavori chiamano Irc, cioè «insegnamento della religione cattolica». Un insegnamento che deve essere culturale, non dottrinale. Non è catechismo – e su questo ci soffermeremo nella prossima puntata. Ma la nostra cultura, senza la conoscenza del cristianesimo in genere e del cattolicesimo in specie risulta indecifrabile. Con buona pace delle interminabili discussioni sulle «radici cristiane» nella Costituzione europea. Un’affermazione del genere non dovrebbe suscitare perplessità, nel Paese di Dante e di Manzoni, di San Francesco e di Rosmini. Eppure sembra che un insegnante di religione debba ancora legittimare la sua esistenza nel mondo della scuola.

Pochi giorni fa un giovane IdR (così in gergo vengono designati gli «Insegnanti di Religione») mi riferiva di una collega, docente di filosofia nel suo stesso liceo, che si era opposta strenuamente al progetto di unire in uno stesso dipartimento religione e filosofia, reclamando invece un abbinamento tra filosofia e matematica. «Che c’entra la religione con la filosofia?», aveva tuonato in assemblea docenti. A quel punto l’IdR (che peraltro in filosofia ha non solo la laurea, ma anche il dottorato!) non ce l’ha fatta a trattenersi e ha preso la parola, più sconcertato che indispettito, e ha ribadito a chiare lettere che la conoscenza del pensiero ebraico-cristiano è indispensabile per capire molta parte del dibattito filosofico contemporaneo. Senza nulla togliere all’importanza della filosofia della scienza o allo studio filosofico dei fondamenti della matematica. Perché la dimensione culturale della religione è originaria e fondante: la natura dell’uomo è cultura, la cultura nasce con i simboli, e i primi simboli sono religiosi.

Ma l’Irc non è solo cultura: è anche educazione. Nell’ora di religione in un buon liceo può forse prevalere la dimensione culturale; ma nei primi anni di scuola (e non solo…) l’aspetto educativo assume un rilievo decisivo. Non si tratta di ridurre la religione a moralismo: l’Irc non serve a mettere in riga i bambini con la paura dei castighi divini. La religione educa perché conduce i fanciulli al bello e al significato, alla verità e all’interiorità, alla riflessione e al mistero, e tutto ciò arricchisce la persona, allontanandola da ciò che ne degrada la vita e la condotta.

Educare la persona attraverso la cultura religiosa: ecco l’obiettivo dell’Irc di oggi. E, nonostante l’imperfezione di tante realizzazioni concrete, nonostante le magagne che tutti conosciamo, questo progetto rimane – a mio giudizio – una delle più efficaci e intelligenti risposte all’attuale crisi dell’educazione e della scuola. Ecco perché vale la pena, ancora e forse più che mai, scegliere l’Irc. Ma ne riparleremo.

12 settembre 2008

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