Confesercenti: «Troppe aziende chiudono»

Secondo il presidente della confederazione di Roma e del Lazio, Walter Giammaria, la pressione fiscale e contributiva per le imprese è troppo alta. E la carenza di liquidità aumenta il rischio criminalità di Graziella Melina

Negli ultimi tre anni nel Lazio «sono state chiuse dalle 18 alle 20mila aziende. Nella Capitale tra il 2009 e il 2010 le imprese che hanno lasciato il mercato sono state circa 6mila, i posti di lavoro persi nel settore del commercio circa 50mila». Non è per nulla ottimista Walter Giammaria, presidente di Confesercenti Roma-Lazio, la confederazione di imprese commerciali, turistiche e dei servizi che nella nostra regione conta circa 23mila associati. «C’è una grande crisi – denuncia -. Le imprese hanno bisogno di un aiuto serio, continuo. Ma gli interventi delle istituzioni non sono né decisivi né propositivi».

Dai dati della Ccia di Roma risulta un aumento del numero delle imprese, che supera oltre le 450mila unità. Ma di che tipo di aziende si tratta?
A Roma stanno sorgendo molti centri commerciali e outlet. Non è un dato positivo anche perché fanno una concorrenza molto forte alla piccola-medio impresa. Nel settore del commercio, inoltre, abbiamo un turn over, un ricambio di gestione, annualmente del 30 per cento. E poi c’è l’apertura di nuove imprese straniere, le uniche ormai in certi settori.

Quali?
Per esempio quello della frutta, oppure nei mercati, gli ambulanti rotativi o itineranti. Ormai sono tutti settori in mano agli stranieri.

Secondo l’Istat, nel 2010 i lavoratori irregolari nel commercio erano circa 444.500 (il 7,4% degli addetti al settore). Come se lo spiega?
L’irregolarità va combattuta, così come l’evasione fiscale, anche perché si tratta di una concorrenza che l’imprenditore regolare non può permettersi. E dovrebbero essere fatti più controlli. Ma è ovvio che abbiamo una pressione fiscale troppo forte. Non possiamo permetterci di pagare contributi e tasse più dei nostri colleghi europei, anche perché non saremmo più competitivi.

L’istituto di statistica fa sapere, inoltre, che a ottobre l’indice del clima di fiducia dei consumatori è sceso da 94,2 (di settembre) a 92,9.
Il calo di consumi va avanti da più di qualche anno. Il consumatore non ha più quell’equilibrio tra entrate e uscite. Gli stipendi e le pensioni non sono più equiparate al costo della vita. Questo ci porta ad avere un calo di consumi molto forte, non solo nel settore dell’abbigliamento, per esempio, o delle calzature, di beni cioè non primari, ma anche in quello alimentare.

A proposito di prodotti alimentari, secondo un’analisi della Coldiretti nel 2011 i furti nei supermercati sono aumentati del 7,8% rispetto al 2010. Secondo lei c’è un nesso con la crisi?
Sì, certo. Ormai pensionati e intere famiglie, si impoveriscono sempre di più e ricorrono a questi piccoli furti di prodotti alimentari. Se andiamo in giro, quando chiudono i mercati rionali, vediamo gente che dopo la chiusura rovista dentro gli involucri, nelle casse di carte, dentro cartoni di legno dove ci sono ancora prodotti di frutta e verdura. Vanno a rovistare e a prendere quello che è stato buttato.

Da un’indagine della Cgia di Mestre emerge una sempre maggiore difficoltà delle imprese a ottenere il credito dalle banche. Secondo lei c’è un rischio usura?
Noi calcoliamo che sono state rifiutate il 30 per cento delle richieste di credito della piccola medio impresa al sistema bancario. Questo alla fine porta a rivolgersi agli usurai per chiedere qualche finanziamento. Molte aziende, poi, vanno a finire in mano alla ‘ndrangheta, alla mafia, alla camorra, che ormai sono arrivate anche a Roma.

Ma cosa c’entrano queste associazioni criminali con la crisi?
Ormai gli imprenditori sono più portati a chiudere. Se quell’impresa interessa a un mafioso o a un camorrista che chiede di comprare un negozio, per esempio, e di subentrarci, l’imprenditore è più facilitato a vendere.

Nel senso che la proposta di acquisto è più allettante?
Esatto. Un venditore è più facilitato a lasciare la propria attività. Poi non si sta a vedere se chi acquista è mafioso o meno. L’imprenditore molte volte non lo sa.

Quindi con la crisi aumenta il rischio di infiltrazioni criminali?
Certo. Hanno liquidità e si possono inserire meglio in questo comparto.

Cosa suggerite per evitare che questi pericoli dilaghino?
Intanto occorre una defiscalizzazione del sistema, una minore pressione fiscale e contributiva. Per rilanciare i consumi ed essere attrattivi, servirebbe poi una diminuzione dell’Iva che invece ultimamente è passata dal 20 al 21 per cento. Noi non vogliamo che la nostra sia una regione dove si pagano più tasse e contributi. Ci sono aziende che non sono riuscite a farlo e oggi Gerit Equitalia commina delle sanzioni dal 200 al 300 per cento. E così molte aziende sono costrette a chiudere.

Ma le istituzioni cosa possono fare?
Le istituzioni dovrebbero prendere in mano la situazione e cominciare a fare delle proposte di sviluppo, di rilancio. Se ne fa sempre un gran parlare, ma alla fine la piccola – medio impresa viene lasciata sola, nell’indifferenza di tutti.

11 novembre 2011

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