Con Faenza ritorna il documentario

Nelle sale “Silvio forever”, autobiografia non autorizzata di Berlusconi. L’idea e la sceneggiatura sono di Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo di Massimo Giraldi

Di documentari in Italia ne sono stati realizzati parecchi negli anni passati ma quasi tutti sono rimasti sconosciuti, quando del tutto invisibili. Raramente la fruizione di questi prodotti ha superato la soglia delle occasioni per specialisti (festival, rassegne, convegni…) per arrivare alla grande distribuzione e al grande pubblico. Ne parliamo oggi per segnalare l’uscita nelle sale di un film di «documento» dal titolo “Silvio forever” con il sottotitolo più chiarificatore “Autobiografia non autorizzata di Silvio Berlusconi”.

Non si tratta quindi di raccontare una trama ma di accennare che, dopo una dichiarazione iniziale della mamma Rosa, si procede a ritroso, partendo dall’anno di nascita, nel dipanare vita e opere di Silvio Berlusconi, la scuola, l’università, le attività nel settore dell’edilizia, le televisioni, il calcio, l’editoria. E infine la politica a partire dai primi anni Novanta. Fino ad oggi. L’idea, e il successivo copione cinematografico, sono di Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo, noti giornalisti del Corriere della Sera. A curare la regia, insieme a Filippo Macelloni, c’è Roberto Faenza, regista molto presente nel panorama italiano (ricordiamo “I Viceré”, 2007, e “Alla luce del sole”, 2005, sul martirio di Don Puglisi).

È interessante tornare alla definizione di «film di montaggio», che torna a proposito anche in questa circostanza. Informano gli autori di aver attinto a materiali originali, «trovati consultando gli archivi di tutto il mondo, incluso Internet». E Faenza aggiunge: «Non un film dichiaratamente ostile o “contro” (molti ne sono stati fatti, inclusi vari documentari realizzati all’estero) e men che meno apocalittico, bensì una sorta, appunto, di “autobiografia”, sia pure non autorizzata e venata di ironia».

Nell’impossibilità di attingere all’audio originale, è stata fatta la scelta di far sentire la voce fuori campo del protagonista affidata all’imitazione di Neri Marcorè. Forse nell’intento di non confondersi con i vari pamphlet sul tema, i realizzatori si pongono sulla strada «mediana» senza imbarcarsi decisamente sul terreno della denuncia, scelgono di essere critici e insieme divertenti nel ripercorrere la inestricabile connessione tra spettacolo/vita vera/politica.

Il film può essere visto come un punto di partenza, occasione di riflessione su ciò che si vede, e anche sul ruolo del documentario, sul suo linguaggio, sulla capacità di intrecciare materiali nuovi e vecchi, di confondere stili e prospettive. Una sfida avvincente, che interpella la capacità di lavorare sulle immagini, avendo come punto fermo la ricerca della verità e del rispetto per sé e per agli altri.

28 marzo 2011

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