Cohen, è sua la canzone più intensa dell’anno

Show me the Place, tratta da Old Ideas del cantautore e scrittore canadese, è dedicata alla figura di Lazzaro. Una supplica dove si intrecciano Vangelo e dolore contemporaneo di Walter Gatti

Andiamo verso la fine dell’anno e tra le migliaia di canzoni incise, prodotte e pubblicate quest’anno mi è venuto il guizzo di chiedermi quale sia la più intensa. Non so se “intensità” vada a braccetto anche con la caratteristica della “più bella”, ma di sicuro “intensità, umanità e bellezza” sono una triade difficilmente scindibile nella musica colta o leggera che sia. Quale potrebbe dunque essere la canzone indicata come la più emozionante, quella che più profondamente scava dentro le profondità del cuore?

Ognuno, ovviamente potrebbe dare una risposta differente, da Springsteen a Niccolò Fabi, da Battiato a Guccini, da Dylan a De Gregori, dai Negramaro alla bella novità italiana del Teatro degli Orrori, e sicuramente ogni titolo sarebbe ben accetto. Sapendo di fare un’operazione “di parte”, quindi, con leggerezza e senza troppa fatica, indico la mia prescelta: è una canzone in cui il protagonista è Lazzaro, proprio quello dell’Evangelo.

Alla figura di Lazzaro, l’amico del Nazareno risorto dopo tre giorni di sepolcro, sono dedicate tante canzoni, alcune note (quella degli U2, Wake up Dead Man) ed altre ignote o quasi, come (Dig Lazarus Dig di Nick Cave), ma non mi riferisco a queste, più vecchie nei tempi: parlo di Show me the Place di Leonard Cohen, un pezzo tratto dal disco di quest’anno del cantautore canadese, Old Ideas.

Sui tasti morbidi di un pianoforte che sembra solo accennare la forza di una melodia, Leonard Cohen canta le parole di una canzone che è un’invocazione, una supplica contemporanea:
Fammi vedere il luogo, aiutami a rotolare via la pietra

Fammi vedere il luogo, non posso spostare questo peso da solo

Fammi vedere il luogo, dove la parola è diventata un uomo

Fammi vedere il luogo, dove la sofferenza ha iniziato

La canzone rivela, tra un violino leggerissimo e un coro che sa di gospel, le parole di Lazzaro, oggi nei panni di un quasi ottantenne artista contemporaneo. Cohen, si sa, ha una voce baritonale unica e ha anche grado di tensione che solo i figli del popolo d’Israele hanno. Ebbene, in questa canzone di pietre che non si smuovono da dentro e di invocazioni alla libertà tutto si ritrova, tutto rifluisce verso un unico luogo: una tomba dal di dentro della quale si sente il corposissimo canto di un musicista tutto intero, senza fronzoli, senza tentennamenti. È Cohen-Lazzaro che dice «Fammi vedere il luogo dove la parola si è fatta carne»: il Vangelo e il dolore contemporaneo si intrecciano, tutto si ritrova all’interno della stessa narrazione, tutto diventa una canzone, da cantare, da fischiettare, da memorizzare.

Ebreo coltissimo, scrittore e poeta, cantante e studioso di Sacre scritture bibliche e orientali, Cohen non si è fatto mancare nulla nella sua ricerca umana. Donne e alcool (tantissimi in entrambi i casi), Bibbia e induismo, cristianesimo e buddismo (sino a ritirarsi per alcuni anni in un eremo “arancione” sulla costa californiana: quando l’avevo intervistato, nel 94, mi aveva implicitamente annunciato questo suo ritiro in meditazione…).

Oggi che si avvia agli 80anni il cantautore di Suzanne (tradotta in italiano e cantata da De Andrè) e di Hallelujah (canzone immensa: di fronte a tutte le ambiguità nostre e della vita, di fronte a tutte le sofferenze l’unica cosa che ci rimane è innalzare il nostro “grazie”) va ancora in scena, ma lo fa con il rosario in mano, per una devozione autentica verso Maria così lontana dal marketing da essere autentica, e che per molte cose ricorda quella di Patti Smith, la “Poetessa del rock” (la musicista che aveva dedicato un disco a Papa Luciani) che quando è in Italia (soprattutto) continua a frequentare santuari in giro per la penisola.

Cosa significa tutto questo? Che il rock ogni tanto si mette in ginocchio? Che anche il rock ha bisogno di supplicare? Ognuno tiri le sue conclusioni. Di certo Show me The Place sembra una canzone pasquale, una canzone di morte e di bisogno di resurrezione.

12 dicembre 2012

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