Cna Roma – Lazio: «Nessuno governa la crisi»

Il direttore Lorenzo Tagliavanti: il licenziamento di operai e manager crea la nascita di nuove aziende che durano circa due anni generando un precariato imprenditoriale. Necessarie misure per il rilancio di Graziella Melina

Nel Lazio «c’è una polverizzazione dell’economia: crescono le imprese, ma diminuisce il numero di dipendenti». Così Lorenzo Tagliavanti, direttore della Confederazione nazionale dell’artigianato e della piccola e media impresa (Cna) di Roma e del Lazio, che con oltre 24mila imprese associate è la più grande associazione imprenditoriale di Roma e provincia. Tagliavanti precisa: «Se non si interviene subito c’è il rischio che entriamo in una situazione di non ritorno con un declassamento dell’intero nostro sistema».

Secondo i dati della Camera di commercio di Roma nel terzo trimestre di quest’anno il tasso di crescita delle imprese è stato dello 0,54%, superiore al dato nazionale (0,32%). Eppure Cisl e Cgil del Lazio descrivono una situazione tutt’altro che positiva. Lei cosa ne pensa?
L’aumento delle imprese è reale, ma è la stessa crisi che ne produce la nascita. Faccio un esempio: se una grande azienda licenzia degli operai e dei manager, questi non trovando un altro lavoro dopo un certo periodo tenteranno una nuova via con l’apertura di un’ impresa. Questo indebolisce il sistema produttivo: il 40 per cento delle aziende che nascono probabilmente arriveranno ai due anni di vita, soprattutto in un momento di crisi come questo.

Attilio Tranquilli, vice presidente di Unindustria Roma-Lazio, sostiene che per stare su un «mercato sano e corretto» bisogna rispettare delle regole che un piccolo artigiano farebbe fatica a sostenere.
Sono d’accordo. Noi abbiamo in qualche caso tentativi temerari di fare impresa. Se in un mercato il numero delle imprese precarie diventa alto, vuol dire che la qualità dell’attività imprenditoriale tende a ridursi. Non basta essere un bravo operaio per essere un bravo imprenditore. Sono due mestieri diversi.

Quali sono gli ostacoli maggiori oggi?
Oggi l’impresa che nasce a Roma pagherà più tasse di quanto ne paga una che nasce a Milano a causa delle addizionali comunali, regionali, dell’Irap, della tassa dei rifiuti molto più alti relativamente ad altre regioni. Nel Lazio si troverà inoltre con un punto e mezzo di costo del denaro più alto di quanto viene pagato a Milano, e con delle banche poco propense al finanziamento, soprattutto per quanto riguarda lo start up. Questa situazione ovviamente colpisce anche le vecchie imprese.

Dunque la ripresa è lontana?
Dal 2008 ad oggi il Lazio e Roma hanno risentito meno della crisi. Oggi però mentre alcune aree del Paese vanno meglio, perché è ripartito l’export, purtroppo la nostra regione, che esporta poco, non riesce ad avvantaggiarsi. Sono ormai tre anni che le nostre imprese sono essenzialmente familiari, hanno costi superiori ai ricavi: questo vuol dire che le famiglie stanno mettendo soldi in azienda in attesa della ripresa.

Con quali rischi?
Se la ripresa non arriva, la capacità di autofinanziamento di queste imprese, che già sono sottocapitalizzate, verrà meno.

Secondo la Cgia di Mestre nei prossimi tre mesi l’86% delle micro imprese non farà ricorso ad un prestito bancario. Nel Lazio le risulta questa stessa sfiducia?
Oggi le imprese non intendono investire perché vedono il futuro incerto. Non sanno se i fatturati cresceranno, quindi vanno avanti con i vecchi macchinari che diventano però obsoleti. Si rivolgono alle banche per chiedere la ristrutturazione del debito, però gli istituti di credito in questo momento non glielo concedono. E questa situazione è aggravata dal fatto che le pubbliche amministrazioni, in particolare regione e comune, hanno smesso di pagare le aziende.

Quindi?
Se da noi si ferma la finanza pubblica siamo bloccati anche noi. E poi in parte sono al palo anche i grandi investimenti pubblici. A stento e a fatica si portano avanti quelli vecchi. Ma quello che è grave è che non ce n’è nessuno in cantiere. E quindi le piccole imprese si trovano di fatto in una morsa.

Il segretario della Cgil Lazio sostiene che pur di creare lavoro bisognerebbe «avere il coraggio di fare delle scelte per far partire almeno un’opera».
Ha assolutamente ragione. Il problema vero è cha la politica e la classe dirigente non riescono a darsi delle priorità. Piuttosto che tenere dieci opere finte è meglio farne una vera. In fondo la cosa grave non è tanto la crisi, quello che è grave è che non c’è nessuno che la governi.

E questo incide molto?
L’economia è fatta di aspettative, se non sono chiare l’impresa non investe. Da questo punto di vista siamo in una fase molto difficile, soli e abbandonati.

Cosa suggerisce?
Bisogna rafforzare gli strumenti di garanzia collettiva come i confidi, per permettere alle imprese di andare al confronto con le banche in una posizione di forza. Occorre creare defiscalizzazione, oppure dare degli incentivi a quei coraggiosissimi imprenditori che fanno investimenti. Servono poi delle politiche attive di stabilizzazione dei precari e di formazione dei lavoratori. E intanto lo Stato deve essere onesto: se ha usufruito di lavori e servizi li deve pagare, quello che vale per i privati non può non valere per il pubblico.

4 novembre 2011

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