Chiara Muti racconta la sua “Dido and Aeneas”

La regista dirige il lavoro di Purcell che dà il via, il 13 giugno, alla stagione estiva del Teatro dell’Opera, alle Terme di Caracalla. Tra le novità, l’allestimento con pedana girevole di Salvatore Cernuzio

Giunge l’estate nella Capitale e la musica torna a riecheggiare tra i maestosi architravi delle Terme di Caracalla, mentre sul palcoscenico, collocato nell’esedra del calidarium, già si sente il rumore delle scarpette da punta o l’eco di versi teatrali. Inizia, infatti, la stagione estiva del Teatro dell’Opera, un appuntamento imperdibile per il pubblico romano sin dal 1937. La rassegna riaprirà le porte, giovedì 13 giugno, nella Palestra Orientale, dove – fino a domenica 16 – sarà rappresentata l’opera di Henry Purcell “Dido and Aeneas”. Sul podio il maestro Jonathan Webb in un nuovo allestimento che porta la firma della regista Chiara Muti.

Considerata come il massimo esempio di melodramma barocco inglese, l’opera si ispira al IV libro dell’Eneide di Virgilio, narrando la struggente storia d’amore tra la regina di Cartagine Didone e il troiano Enea. Un amore maledetto che ha ispirato nel corso della storia della musica centinaia di compositori. Tra questi, appunto, Henry Purcell, autore inglese che presentò l’opera, per la prima volta, nel 1689, nel collegio femminile Young Gentlewomen di Chelsea. Il racconto in musica di Purcell, tuttavia, presenta alcune differenze rispetto al celebre poema epico, come spiega Chiara Muti: «Se in Virgilio sono gli dei a decidere delle sorti, della vita e degli amori di Didone ed Enea, in Purcell rientriamo nel mondo magico delle streghe e dei folletti, i quali, attraverso le loro trame, stabiliscono il destino dei due protagonisti».

È vero, aggiunge la regista, che in “Dido and Aeneas” «la cultura di Virgilio, pregna di classicismo, si sposa perfettamente con la cultura del mondo di Shakespeare e del teatro inglese». Tuttavia, l’opera prende le distanze dalla narrazione virgiliana, innanzitutto nel tratteggiare un diverso profilo dei protagonisti. Purcell attribuisce, infatti, l’abbandono di Didone da parte di Enea non tanto al volere divino, bensì ad un capriccio delle forze oscure. La sovrana cartaginese risulta essere, quindi, un personaggio nobile dal punto di vista narrativo e musicale, al contrario di Enea che appare invece vile e insicuro. Questa tradizione non è stata inventata da Henry Purcell ma, precisa Chiara Muti, «affonda le sue radici sin dall’epoca fenicia, dal III secolo a.C.».

«Nell’antichità – prosegue – si parlava di questa regina che aveva fondato Cartagine e della sua fedeltà al marito Sicheo, tanto da morire suicida pur di non cedere ai suoi pretendenti e rispettare la promessa allo sposo». Addirittura «ci fu una diatriba a riguardo – racconta la regista – perché Petrarca sottolineò come Dante si fosse “sbagliato” a collocare Didone all’inferno, insieme con Francesca, Cleopatra e le altre lussuriose, rifacendosi, appunto, ai racconti di Virgilio». Un’opera complessa, dunque, dal punto di vista drammaturgico. La difficoltà principale è il «susseguirsi di eventi in spazi ridottissimi», afferma Muti, nel senso che «spesso cambia la situazione visivo-scenica, ma anche emotiva, in una sorta di flusso continuo verso la fine.

Si inizia con l’incontro e l’innamoramento dei due protagonisti, e si conclude con la partenza di Enea e la rovina di Didone. Il tutto in cinquanta, intensissimi minuti». In un grande spazio all’aperto come la palestra di Caracalla, «è diventato difficile far coincidere tutti questi aspetti», conclude la regista. Grazie, però, all’idea di scenografia composta da una pedana circolare «siamo riusciti a rappresentare il tempo e il destino tessuto dalle streghe. Girando, infatti, questa pedana dà l’idea di un cambio delle situazioni, delle scene, ma anche dell’emotività dei personaggi».

11 giugno 2013

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