Chiara e la brutalità del male

Detenuto a Regina coeli il 35enne che ha picchiato fino a ridurla in coma la findanzata di 19 anni. L’ennesimo episodio di “amore malato”, che richiama gli adulti alla necessità di mettersi in gioco accanto ai giovani di Giovanna Pasqualin Traversa (Agenzia Sir)

Lotta tra la vita e la morte nel letto di un ospedale romano, dopo un delicatissimo intervento chirurgico d’urgenza alla testa, la diciannovenne Chiara Insidioso Monda, selvaggiamente picchiata lunedì pomeriggio dal convivente, un trentacinquenne con alle spalle precedenti per droga, violenza e resistenza a pubblico ufficiale. L’uomo, arrestato dai carabinieri, si trova attualmente detenuto nel carcere di Regina Coeli con l’accusa di tentato omicidio e lesioni personali gravissime.

Un’altra giovanissima vittima si aggiunge al bollettino di guerra, che sembra non conoscere tregue, di quella furia cieca e devastante che fa perdere umanità e ragione a troppi uomini, convinti di poter esercitare diritto di vita e di morte sulle donne considerate loro “proprietà”. Maschi brutali e maneschi, che non possono non essersi rivelati tali fin dall’inizio della relazione; eppure questa ragazzina – la chiamiamo affettuosamente così perché molto più piccola del convivente e, a quanto si legge nelle cronache, con un lieve ritardo mentale e quindi ancora più vulnerabile – si era probabilmente illusa, come succede anche a tante donne più adulte e navigate, che le cose potessero cambiare. Senza rendersi conto di essere caduta in una trappola senza ritorno, vittima di ciò che è solo l’illusione o, peggio, la più tragica, inconsapevole e odiosa caricatura dell’amore. Spesso in nome dell’insidiosissimo copione “Io ti salverò”; in questo caso “scelta” e vissuta probabilmente in un quadro di soggezione psicologica, mix di attrazione e paura. La dipendenza, insomma, di chi si sente inadeguato e ha un disperato bisogno di affetto e attenzioni, e per questo sopporta angherie e violenze di ogni sorta.

Ma Chiara, ha detto in un’intervista televisiva il padre Maurizio (che per uno strano scherzo della sorte ha lo stesso nome del compagno-carnefice) aveva lanciato un grido d’aiuto chiedendogli di andare a riprenderla. Non sappiamo ancora che cosa lo abbia impedito. Purtroppo – e qui si porrebbero molti interrogativi – non si è riusciti ad intervenire in tempo per salvarla. Intuibili il dolore sordo e straziante del padre, che in passato aveva presentato diversi esposti contro il convivente della figlia, per non aver saputo proteggere la sua bambina. A lui, che secondo quanto riportato da alcuni media si sarebbe augurato la non sopravvivenza della figlia – che ha altissime probabilità di essere condannata ad uno stato “vegetale” per la gravità e l’irreversibilità delle lesioni riportate – vorremmo però dire sottovoce, pur nell’assoluto rispetto del suo dolore, che un figlio è il dono più bello che possa capitare, e che la vita di Chiara rimane sempre e comunque preziosa.

Intanto sgomenta e commuove il pensiero della sua solitudine inerme e terrorizzata, in quel maledetto lunedì pomeriggio, di fronte alla brutalità del male; un’immagine che riporta a troppi scenari simili, e interpella la nostra responsabilità di adulti, al di là di questa terribile vicenda. Quanto siamo capaci di ascoltare i nostri figli? Di intercettarne il malessere, i segnali che ci mandano attraverso un ostinato silenzio, un lampo nello sguardo, una gestualità nervosa, un tono di voce un po’ alterato al telefono. Accettiamo il rischio di metterci in gioco per tentare di “leggere” nella loro anima, e magari anche in quella di tanti ragazzi che vivono al di fuori delle nostre case ma pur sempre intorno a noi, o preferiamo far finta di non vedere, di non accorgerci che qualcosa nella loro vita non va?

7 febbraio 2014

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