Caravaggio, la luce verso l’infinito

Antonio Paolucci e Thimoty Verdon protagonisti dell’incontro a Santa Maria del Popolo promosso dall’Ufficio catechistico della diocesi di Emilio Fabio Torsello

Alla riscoperta di Caravaggio, al secolo Michelangelo Merisi, per valorizzare e comprendere le opere d’arte custodite a Santa Maria del Popolo. Alla presenza del direttore dei Musei Vaticani Antonio Paolucci e del docente di storia dell’arte Timothy Verdon, venerdì 22 ottobre si è svolto il secondo dei quattro appuntamenti del ciclo “Dialoghi con Caravaggio nelle sue chiese”, organizzati dall’Ufficio catechistico della diocesi diretto da monsignor Andrea Lonardo. Un evento che ha attirato centinaia di persone all’interno della chiesa dove sono ospitate le tele del martirio di San Pietro e della conversione di San Paolo, gremita fin nei banchi delle ultime file.

«Per noi – ha detto don Antonio Truda, parroco di Santa Maria del Popolo introducendo la serata – Caravaggio è una croce e una delizia: è una croce perché anche durante le celebrazioni c’è un continuo flusso di turisti, fino a tremila persone al giorno che entrano in chiesa. Una delizia perché siamo comunque un punto di riferimento internazionale e dobbiamo lottare per non farci portar via queste tele che altrimenti sarebbero ‘pellegrine’ nei musei del mondo».

Verdon ha quindi ricordato come la conversione di San Paolo sia avvolta di luce e silenzio e manchino elementi prima ritenuti tipici di queste rappresentazioni, come i soldati o le apparizioni divine. «Gli elementi narrativi – ha spiegato Verdon – sono ridotti al minimo: ci sono un servo, un cavallo, Paolo e la luce che è la vera protagonista del quadro. Le immagini – ha proseguito – sono comunicative e reali». Le braccia alzate verso il cielo, ha spiegato il professore, richiamano il gesto della preghiera e sono il segno più forte della conversione.

Secondo Paolucci, invece, entrambe le tele testimoniano come Caravaggio abbia portato nell’arte quel verismo e naturalismo i cui riflessi sono durati nel tempo, contaminando anche i pittori fiamminghi e italiani. «In un quadro – ha commentato Paolucci – ci sono tutti i quadri, l’opera d’arte è prefigurazione di quelle che la seguiranno». Tra gli elementi più caratteristici del verismo delle due tele, il corpo di San Pietro che «si offre alla Croce» e il cavallo presente nella conversione di San Paolo: «è un animale da lavoro, da vetturale, preso in una stalla romana, con il pelo raso e umido di sudore: non ha nulla di eroico come invece ci si poteva aspettare. All’epoca – ha concluso Paolucci – gli occhi erano vere e proprie macchine fotografiche a colori. Oggi quella sensibilità va perdendosi e soprattutto i giovani fotografano ogni cosa con i cellulari».

Presente all’incontro anche il vescovo del settore Centro, monsignor Ernesto Mandara, che ha sottolineato come Roma sia ricchissima di beni «anche poco conosciuti». «È stato appena ultimato – ha proseguito il vescovo – il restauro di Sant’Urbano alla Caffarella, di San Vito a Santa Maria Maggiore. Ci sono poi periferie della città – ha concluso monsignor Mandara – dove sono le nuove chiese a dare un significato ai quartieri e sarebbe interessante organizzare visite di questo tipo anche in queste zone della Capitale».

25 ottobre 2010

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