Canonizzazione dei Papi, grande dono e impegno

La testimonianza del postulatore della causa di San Giovanni Paolo II: «Domenica 27 aprile in piazza San Pietro ero felice di essere cattolico. Ero fiero di essere polacco» di Slawomir Oder

In uno degli incontri che la Provvidenza Divina mi ha fatto vivere lavorando per la causa della canonizzazione di Giovanni Paolo II, ho ricevuto una bellissima confidenza da parte di suor Teresa, una religiosa birmana che incontrando il Papa, gli chiese: «Santità, cosa devo fare per diventare santa?». L’anziano Pontefice non le diede alcuna risposta a parole, ma semplicemente aprì le sue braccia e la strinse al suo cuore. Per suor Teresa questa era la risposta: essere santi significa stringere al cuore tutti gli uomini per far sentire loro il battito del cuore innamorato di Cristo!

Quando domenica 27 aprile, dopo un semplice ma molto intenso rito della canonizzazione, mentre ancora le parole di Francesco riecheggiavano tra il colonnato berniniano, mi girai per scendere dal sagrato, vidi una Chiesa in festa. Il popolo di Dio riempiva piazza San Pietro, parlava tutte le lingue, sbandierava gli stendardi di tutte le nazioni e, con la varietà dei gesti, dei simboli e delle lingue, lodava unanimemente il Dio della gloria che manifesta la sua magnificenza attraverso i suoi santi. La gente gioiva nel festeggiare i nuovi santi pontefici: san Giovanni XXIII e san Giovanni Paolo II. Nella persona di quest’ultimo, il cui ricordo rimane ancora tanto vivo nei cuori e nella memoria della gente, la Chiesa riceveva in consegna da Papa Francesco il modello di grande pastore, l’uomo di Dio spinto dalla carità di Cristo per portare il Vangelo ad ogni uomo. Abbiamo ricevuto un grande protettore delle famiglie, una figura paterna per i giovani, da lui tanto amati e cercati. Il mondo ha ricevuto un profeta della vera libertà. La santità è la vera libertà, è un compito assunto e adempiuto, è la verità conosciuta, mantenuta, difesa, vissuta. La santità, come anche la libertà, non conosce le barriere delle lingue, delle etnie, delle razze. Parla un linguaggio comune. Domenica 27 ero felice di essere cattolico. Ero fiero di essere polacco. Sentivo la grandezza del dono, ma anche l’immensità dell’impegno che comportava. Trattenevo con difficoltà le lacrime che volevano sgorgare per la troppa felicità. Mi sentivo abbracciato dalla Chiesa intera. Era un momento mistico in cui si percepiva l’esultanza della gente e la festa dei santi in paradiso. Come se in quel momento, attraverso le braccia della Chiesa, mi stringesse al suo cuore san Giovanni Paolo II, facendo sentire il battito del suo cuore ricolmo di Dio.

Mi è venuto in mente un altro incontro, avvenuto nell’estremo nord del Canada. In un piccolo centro abitato dagli eschimesi, Monica, una donna anziana rispettata dalla comunità locale, ricevendo a nome di tutta la parrocchia le reliquie del santo disse: «Il deserto artico è segnato dalla presenza degli “inukshuk”. Sono i segni lasciati dai viandanti per indicare luoghi della loro presenza, luoghi accoglienti, dove trovare ristoro e riparo nel cammino. Giovanni Paolo II sarà per noi come uno di quei segni, indicandoci la strada sicura verso il paradiso». Il dono della sua canonizzazione ricorda ancora una volta quello che lui riteneva il compito fondamentale della Chiesa: «Evangelizzare e portare alla santità». In queste parole riconosceva il primato di Dio e la forza risanatrice e vivificante della grazia di Dio. La figura di san Giovanni Paolo II davvero fa sentire la vicinanza di Dio al suo popolo. Nella sua vita si sente il battito del cuore di Cristo e la forza della grazia che, percorrendo l’esistenza umana, lascia la traccia di santità. Le sue parole, gridate dal profondo della sua conoscenza dell’uomo – «Non abbiate paura! Spalancate le porte a Cristo!» – rimarranno un invito a lasciarsi percorrere dalla grazia Divina e a seguire la strada sicura verso il paradiso.

5 maggio 2014

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