Cagli: «Guardiamo al futuro della musica»

Intervista al presidente dell’Accademia nazionale di Santa Cecilia. «Salvare quanto resta del belcanto italiano» di Francesco d’Alfonso

Professor Cagli, nel “Crepuscolo degli idoli” Friedrich Nietzsche scrive: «Senza la musica, la vita sarebbe un errore». Che cosa è, per lei, la musica?
Rispondo semplicemente: non è neanche immaginabile la mia vita senza la musica. Le faccio una confidenza: essendo imparentato con molti pittori importanti, tra i quali il ben noto Corrado Cagli, in famiglia era considerata strana la mia passione per la musica, perché non sembrava che tra i miei ascendenti diretti ci fossero musicisti. Eppure, di recente, ho scoperto che due Cagli suonavano le opere di Rossini nell’800 ad Ancona (la mia famiglia è di origine anconetana, sicuramente erano miei antenati); più tardi un altro Cagli fu l’impresario che portò per la prima volta il “Barbiere di Siviglia” in Cina e altri 14 titoli di opere italiane e francesi anche in Nuova Zelanda e in Australia, diffondendo il belcanto per il mondo. In qualche modo, la musica e l’opera sono nel mio dna.

Possiamo definire il belcanto la sua grande passione?
Assolutamente sì. E dovrebbe essere la passione di tutti gli italiani. Io penso che l’Italia abbia fatto al mondo due grandi doni: il Rinascimento e il belcanto. Se buttiamo via il belcanto, buttiamo via tanta parte della nostra cultura. Una volta si ironizzava dicendo che l’Italia esportava maccheroni e tenori; adesso importiamo cibi dalla Cina e cantanti da tutto il mondo…Va bene anche questo, ma sarebbe altrettanto bene che i cantanti si formassero da noi, secondo la più corretta tradizione, che è stata, a un certo punto, dimenticata.

È stata dimenticata al punto che si sono rese necessarie operazioni come la “Rossini renaissance” o la “Donizetti renaissance”. Quali sono i motivi per cui il belcanto è andato in crisi?
Io credo che uno degli errori più grandi sia stato quello di pensare che l’evoluzione della musica fosse passata altrove, fuori dall’Italia: questo non è vero, l’Italia ha seguitato a fare tanto per la musica, anche con la riscoperta del Rossini serio o di tante opere di Donizetti, uscite dal repertorio per mancanza di interpreti. La causa della crisi è da attribuire alle scuole di canto, con la conseguente decadenza dei teatri d’opera. Il belcanto si basa sulla tecnica: se la tecnica non è precisa, un cantante è finito in breve tempo. La voce di un artista lirico si può evolvere, ma bisogna stare molto attenti alla scelta del repertorio. I cantanti che declinano il verbo “durare” sono pochissimi, ma stanno attentissimi alla scelta delle opere da eseguire. Guardiamo Joan Sutherland o Mirella Freni o Magda Olivero.

Sulla scia di questo amore per il belcanto, lo scorso anno lei ha tenuto a battesimo la prima edizione del Reate Festival. Come è nato il festival?
Innanzitutto nasce dall’amore per il meraviglioso Flavio Vespasiano di Rieti, teatro dall’acustica miracolosa. Quindi nasce dal mio sogno, perseguito con caparbietà, di salvare quanto resta del belcanto italiano e il programma da me curato è incentrato su questo. A questo mio sogno si è unito il Maestro Kent Nagano. Quando lo incontrai per la prima volta a Santa Cecilia, parlammo proprio del belcanto: Bellini e Donizetti…due mondi nei quali lui desiderava fare nuove esperienze. Da lì è nata la nostra amicizia e intorno a questo si è sviluppato il nostro lavoro comune. Per due anni ho organizzato con lui anche un festival in Canada, dove ho potuto constatare che ciò che resta della diffusione dell’italiano è legata proprio al belcanto.

Cosa ci riserva l’edizione 2010 del Reate Festival?
Intanto proseguiremo la trilogia mozartiana con “Le Nozze di Figaro”, il cui cast sarà composto da grandi cantanti, tra i quali Alex Esposito, Mariusz Kwiecien, Carmela Remigio, che saranno affiancati dai giovani artisti dell’Opera Studio allievi di Renata Scotto. Il Teatro Flavio Vespasiano di Rieti ospiterà poi “Il Campanello” di Donizetti in forma scenica e la “Petite Messe Solennelle” di Rossini. Ma al Reate Festival guardiamo anche al futuro della musica: due pianisti di 10 e 12 anni, Karin Kei Nagano e Jacopo Giovannini, suoneranno rispettivamente il I e il II Concerto per Pianoforte e Orchestra di Beethoven. Giovanissimi, ma due veri talenti.

Lei è di origine marchigiana, ma romano di adozione. A Roma ha compiuto gli studi universitari, a Roma è stato direttore artistico dell’Accademia Filarmonica e del Teatro dell’Opera, presidente e sovrintendente dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, carica che ricopre tutt’oggi. In tutte queste sue “avventure” professionali, Bruno Cagli cosa ha cercato di portare alla città di Roma dal punto di vista musicale?
Io sono l’unica persona che è stato in tutte e tre le maggiori istituzioni musicali romane! Credo che Roma sia molto legata alla musica classica e all’opera, il problema è recuperare i giovani. L’Accademia di Santa Cecilia svolge un’intensa attività a loro favore: abbiamo fondato, ad esempio, la Juniochestra e il Coro di voci bianche. Le nuove generazioni non hanno l’aiuto della scuola, quindi dobbiamo essere noi ad aiutarli. Svecchiare il pubblico è il compito primario della nostra istituzione musicale. Certo, è una goccia d’acqua in un deserto…ma ormai lo facciamo in maniera sistematica e avanzatissima.

L’ultimo pensiero credo sia il caso di dedicarlo allo stato attuale della musica classica in Italia. Senza essere catastrofici o apocalittici, usciremo da questo tunnel?
Me lo auguro per l’Italia e per quanto l’Italia ha dato al mondo intero, e che vogliamo venga conservato. Purtroppo, molti dei nostri politici farebbero a meno della musica. Io li condannerei al silenzio totale.

19 luglio 2010

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