Bosnia, la testimonianza di Margherita

Pubblichiamo di seguito il racconto di una delle ragazze romane che ha partecipato all’esperienza di solidarietà internazionale organizzata dalla Caritas nei Balcani, nel mese di novembre

La Bosnia è una terra dai contrasti forti, dove la bellezza della natura autunnale stride con la presenza, ancora molto diffusa, dei campi minati. Dove è possibile vedere in pochi metri interi quartieri ricostruiti accanto ad abitazioni che portano ancora vivi i segni della guerra, come a voler fare memoria. Case abbandonate da profughi che non vi faranno ritorno perché, nonostante il lungo tempo dell’esilio, non esistono ancora le condizioni per ricominciare a vivere dignitosamente. Abbiamo conosciuto un territorio che non può non essere, per sua stessa indole, multiculturale e multireligioso, eppure ancora fortemente diviso. Così a Sarajevo si può percepire la convivenza, seppur difficile, tra comunità islamiche, cattoliche, ortodosse ed ebraiche che a poca distanza vedono sorgere i rispettivi luoghi di culto. Ma è palpabile anche la netta separazione che passa attraverso la linea di confine che divide la parte serba della città da quella musulmana: un muro invisibile che la gente non oltrepassa. Posti di blocco a ricordare che stai entrando in uno spazio non tuo. Persino i segnali stradali cambiano lingua, segno forte di incomunicabilità.

Abbiamo attraversato i luoghi in cui la pulizia etnica ha svolto la sua funzione al tempo del conflitto, costruendo realtà “omogenee” nelle quali minoranza e maggioranza, qualunque esse siano, continuano oggi a scontrarsi. Uno scontro che non si combatte più con le armi, ma con le discriminazioni nell’accesso ai diritti. Abbiamo visto, però, anche la Bosnia della gente che continua a costruire ponti, nonostante le difficoltà. Persone appartenenti alle diverse identità, ma vittime delle medesime violenze consumate durante il conflitto, che lavorano per testimoniare alle giovani generazioni quanto è accaduto, affinché non si ripeta. Realtà del sociale che continuano a fare opera di mediazione, a sostenere il dialogo e a prestare servizio agli ultimi. I tanti figli nati dai cosiddetti matrimoni misti che non si identificano in una particolare identità, ma solo nell’essere nati nella terra di Bosnia.

Questo è il contesto in cui abbiamo vissuto e che vogliamo testimoniare. Aver conosciuto l’assurdità della guerra accresce in noi la responsabilità di operare come costruttori di pace.

Margherita Gino

26 novembre 2012

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