Bernabei: «Protestare davanti alla brutta tv»
Intervista al produttore televisivo, che riflette sul ruolo educativo dei programmi televisivi: «Non bisogna temere di volere essere anche didattici» di Graziella Melina
Di fronte a una tv che non ci piace, che manda in onda contenuti non adatti ai minori seppure in fascia protetta, rimaniamo passivi, «non ci lamentiamo». E invece dovremmo farlo. «Per il bene di tutti». Lo sottolinea con forza il produttore televisivo Luca Bernabei, un verso esperto del piccolo schermo. Tra le fiction che ha realizzato di recente con la Lux Vide, di cui è direttore delle Attività produttive: “Ho sposato uno sbirro 2”, “Micol e le sue sorelle”, “Don Matteo 7”, ma anche miniserie come “Sotto il cielo di Roma”, “Preferisco il Paradiso”, “Sant’Agostino”. Bernabei è stato di recente tra i relatori del convegno “Mass media: famiglia vittima o protagonista?”, organizzato dalla diocesi e dal Forum delle associazioni familiari del Lazio.
Partiamo da un dato del rapporto Censis Ucsi del 2009: gli utenti della televisione arrivano a circa il 97,8 per cento della popolazione. Una cifra importante, ma anche una bella responsabilità per voi produttori…
Come diceva Karl Popper, ci vorrebbe la patente per chi fa televisione. Oggi in televisione chiunque parla, comunica, chiunque scrive. La televisione è un mezzo delicato di comunicazione, ci vorrebbe un ben altro atteggiamento.
È anche vero che in televisione, ormai, impazzano numerose fiction a tema familiare. Ma la famiglia che oggi viene rappresentata in tv è davvero rispondente a quella reale?
No, non è rispondente a quella reale. Se fosse vero il contrario, vorrebbe dire che non esisterebbero più famiglie normali, composte da un padre e una madre che vivono insieme, che hanno fatto una scelta di vita. Nelle fiction viene drammatizzato esclusivamente il conflitto e mai l’unione. Noi non pensiamo che le nostre famiglie vivano senza problemi, però c’è anche tanta gente che non viene mai rappresentata: sono quelli che cercano di mandare avanti le loro famiglie nonostante i problemi, che siano di natura affettiva o economica. E poi non viene mai dato, o raramente viene dato, il senso di speranza che un problema può essere superato. Non si cerca più di aggiustare i matrimoni, i rapporti, ma vengono gettati. In questo secolo così veloce, tutto viene bruciato, consumato velocissimamente, nel bene e nel male, e così si finisce col gettare anche le cose che sono preziose.
Se si dà uno sguardo ai programmi, non può non colpire il fatto che ogni giorno vengono mandati in onda in fascia protetta contenuti non certo adatti ai ragazzi. Per non parlare del turpiloquio. Come mai in tv non ci si pone il problema che i minori vanno sempre tutelati?
Ricorre spesso questa scusa: “Tanto ci sono i canali tematici per i minori”. Ma non è detto che il bambino non si ritrovi a guardare anche gli altri canali. Credo che sia un fatto non banale quando nelle reti generaliste mandano in onda in fascia protetta notizie morbose. Conosco benissimo le problematiche legate al diritto di cronaca, ma credo che queste notizie alla fine creino una sorta di sensazione di scontento, lascino un senso di insoddisfazione, checché ne pensi chi dirige questi network e poi vede dei buoni risultati di ascolto.
Cosa suggerisce allora?
Credo che bisogna dare anche la percezione che c’è un’attenzione alla famiglia, che non è composta solamente da padre, madre e persone adulte, ma anche da adolescenti e bambini. E poi, quando si fa televisione, non bisogna temere di volere essere anche didattici, perché comunque la televisione è sempre pedagogica: la tv fa vedere dei comportamenti positivi o negativi. Non solo. A seconda di come vengono rappresentati, si crea un ribrezzo. Ma anche e più spesso di quanto si pensi, si crea un’attrazione in persone che non hanno le necessarie conoscenze culturali ed etiche per poter trattare questi temi.
Lei quindi sta sostenendo che la tv ha ancora una funzione educativa?
Sicuramente non possiamo far finta che non la abbia. Il problema è che noi non ci lamentiamo più. Le persone avvedute che hanno coscienza di questa situazione devono cominciare a protestare. E la nostra protesta non è solo per noi, ma riguarda credenti e non credenti.
4 novembre 2010