Bartolo, angiologo in Africa con il progetto Dream

Intervista al dirigente del reparto di telemedicina dell’ospedale San Giovanni, che ha raccontato in un libro la sua esperienza nei Paesi del Sud-Sahara. Tra successi e difficoltà di Mariaelena Finessi

“La nostra Africa” è un libro corposo, di oltre 400 pagine, anche se non si vede. Sì, perché l’opera del medico romano Michelangelo Bartolo, arrivata in finale al concorso letterario “Io Scrittore” promosso dal Gruppo Editoriale Mauro Spagnol, è in formato elettronico. E se nella classifica degli ebook più venduti in Italia non desta stupore la presenza di Erri De Luca o di Roberto Saviano, una certa curiosità la suscita invece quest’opera che racconta, in modo spesso scanzonato, il viaggio di un angiologo, dirigente del reparto di telemedicina all’Ospedale San Giovanni di Roma, attraverso la lentezza burocratica, lo scetticismo nei confronti della medicina occidentale, le pozioni “miracolose” dei curanderos, il lassismo e la povertà di una certa parte del continente africano. Bartolo, classe 1964, racconta in questa intervista i successi e le difficoltà del progetto Dream (Drug Resourse Enhancement against Aids and Malnutrition) della Comunità di Sant’Egidio, nato in Italia nel 2001 per ridare speranza a migliaia di persone al di là del Mediterraneo.

Un angiologo che sceglie di curare i malati di Aids in Africa. Perché?
Le motivazioni che mi hanno spinto a guardare oltre me stesso sono molteplici ma di certo si è trattato di una scelta maturata accanto ad alcuni amici della Comunità di Sant’Egidio. Perché, sebbene nel libro non ne parlo in modo esplicito, in realtà tutto ciò che racconto è la storia di Dream, un programma sanitario che oggi garantisce prevenzione e terapia dell’Aids a 170mila persone in 33 centri di cura di 10 paesi dell’Africa sub-sahariana. Tra le motivazioni ce n’è comunque una più profonda, religiosa. In un passo del Vangelo, Gesù dice: «Se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario?». I cristiani, cioè, non devono vivere una vita anonima ma ognuno, come può, è chiamato a compiere qualcosa di grande anche nell’ordinarietà. Io, fidandomi, mi sono trovato coinvolto in un avventura che ha dato dei frutti inaspettati.

Un progetto ambizioso e certamente costoso. Come avviene la ricerca dei fondi?
Abbiamo iniziato questo programma di cura con risorse irrisorie: raccolte nelle parrocchie, vendite di beneficenza, tanto che il laboratorio di Beira – per dire – è stato finanziato dallo Zecchino D’oro. La ricerca dei fondi è qualcosa su cui dobbiamo lavorare sempre molto ma per fortuna con la crescita del programma abbiamo trovato importanti partner – banche, fondazioni, cooperazioni di diversi Paesi europei e privati – che ci sostengono. Certo, l’attuale crisi si fa sentire anche nelle donazioni ma ogni piccolo aiuto è importante e con meno di un euro al giorno si può garantire la nascita di un bambino sano da madre Hiv positiva.

Per i Paesi poveri la vera condanna sembra venire dal difficile accesso ai farmaci.
Nel 2001 in Africa i famosi farmaci antiretrovirali si potevano trovare solo in alcune cliniche private a prezzi inaccessibili. Poi, grazie ad un accordo internazionale, una ditta indiana, la Cipla, ha avuto il permesso di produrre farmaci antiretrovirali a bassissimo costo da vendere solo ai Paesi in via di sviluppo. Oggi la situazione è cambiata: quasi ogni Paese africano acquista farmaci antiretrovirali o ha, sul proprio territorio, fabbriche che ne producono.

Per poter essere indipendente, forse l’Africa ha bisogno non solo di farmaci ma anche di persone preparate.
Il personale dei nostri centri di cura è composto di professionisti locali. In questi 10 anni sono stati organizzati 18 corsi di formazione aperti ad oltre 5000 medici, infermieri, tecnici di laboratorio, farmacisti e tecnici informatici dato che l’informatica ha assunto un ruolo fondamentale nella gestione dei centri e nel monitoraggi clinico dei nostri pazienti. In collaborazione con il dipartimento informatico dell’Ospedale San Giovanni abbiamo realizzato un servizio di tele cardiologia. Gli elettrocardiogrammi effettuati in 6 centri sanitari africani vengono refertati di routine dal Pronto Soccorso Cardiologico dell’ospedale romano. Oggi internet, e con esso la telemedicina, ha dunque avvicinato l’Africa e offre grandi potenzialità per realizzare una cooperazione sanitaria ad alto impatto e a costi contenuti.

20 aprile 2012

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