Aroldo Tieri, l’ultima intervista

Il celebre attore è morto a 89 anni. Ripubblichiamo l’intervista che ci concesse nella scorsa primavera di Toni Colotta

«Immaginiamo un salotto nel quale tante persone si intrattengano con gran calore. Entra un altro, saluta festosamente e si unisce alla compagnia. A un tratto si riapre la porta e, mentre scende un silenzio interrogativo, compare un signore che con aria grave dice soltanto “buonasera”, riempiendo il silenzio. Mentre l’attenzione degli astanti si concentra su di lui. Ecco, quel nuovo venuto è un attore». Così, con un esempio emblematico, Aroldo Tieri definisce questa figura antichissima. Per meglio dire, fa con pochi tratti il ritratto di un protagonista, in grado di calamitare gli occhi e i sensi di chi lo guarda. Per dote naturale. Tieri è stato protagonista in teatro, lungo oltre la metà del secolo scorso, in interpretazioni che hanno lasciato il segno. Da poco ha messo nell’armadio i panni dell’attore militante per limiti di salute, ma non d’età, che anzi esibisce con civetteria – 88 anni non ancora suonati – proprio perché non ne ha l’aria. Anche fuori del gioco del teatro, protagonisti si resta, per quel mondo di valori succhiati dalla vita attraverso le parole recitate che un attore di spicco si porta addosso. E il pubblico non dimentica. Motivo sufficiente per includere Aroldo Tieri nella nostra galleria di icone dello spettacolo. Dopo un incontro nella sua casa alla Balduina, dove accoglie con l’aplomb di un gentiluomo vecchio stampo.

La voglia matta di allontanarsi dalle scene venne negli anni ‘90, dopo le accuse rivolte all’organizzazione teatrale, indicata come preda di trafficanti e corruttori che strangolavano le compagnie impegnate a proprio rischio nella drammaturgia di qualità. Qual’è stata la spinta decisiva a mettersi da parte?
Purtroppo un problema di salute mi ha costretto ad assentarmi dal palcoscenico, interrompendo in tal modo, purtroppo, il meraviglioso sodalizio d’arte con Giuliana Lojodice, mia consorte nella vita oltre che partner da quarant’anni. Ma non è mai detta l’ultima parola. Anzi, qualcosa potrebbe maturare per una ripresa dell’attività. È ancora presto per parlarne.

Protagonismo in teatro è quello del primattore o della primattrice –secondo l’antica terminologia – in grado di esprimere una personalità originale e dominante, come quel secondo signore del salotto. Ma dove nasce questa dote?
Nel mio caso, prima di tutto dalla famiglia: una madre premurosa, un padre importante, Vincenzo Tieri, giornalista e drammaturgo di successo, con il quale, insieme ai miei fratelli, avevo un rapporto carico di affetto e di stima rispettosa, e parlavo in casa di teatro. Così maturò la decisione di entrare in Accademia, ed ebbi la fortuna di incontrare maestri e colleghi determinanti nella formazione professionale. Veneravo Ruggero Ruggeri, che mi stimava molto: era sua la grande arte dei silenzi carichi di tensione, appunto come quel signore del salotto. Nel diventare primattore entrarono un po’ dell’eleganza di mio padre, una voce importante donatami dal Padreterno e lo studio in profondità dei personaggi, ai quali aderivo, scavandone tutte le sfaccettature ma restando sempre me stesso. Come disse Cechov della Duse: non dice parole d’altri ma parla in prima persona.

Per questo il ricordo del Misantropo di Molière resta incancellabile nella memoria di quanti ne furono spettatori, quanto il Leone Gala de Il gioco delle parti di Pirandello o l’Arcetri di Un marito di Svevo. Un impegno al servizio dell’intepretazione, etico prima che artistico. Ripetutamente proclamato con il Premio Curcio, il Premio Renato Simoni alla carriera e vari libri.
Con Totò ci siamo voluti molto bene e ha preteso la mia partecipazione a diversi suoi film. Non era un “comicastro” qualsiasi, come allora si disse. Anche lui studiava a fondo i personaggi da interpretare, e giustamente continua ad avere successo.

Anche se momentaneamente senza Aroldo Tieri, dove sta andando il teatro italiano?
In questo momento soffre molto perché non riceve dallo Stato, nella stessa misura di un tempo, gli incoraggiamenti costituiti dalle sovvenzioni economiche. Al di là degli intrallazzi e delle prepotenze politiche che allora denunciai, erano questi aiuti a permettere di fare spettacoli in modo dignitoso, e spesso con bei risultati sul piano culturale. Come ho potuto fare io per Molière, Svevo e Rosso di San Secondo, con il regista Giancarlo Sepe e grande successo di pubblico. E la carenza di sostegni pubblici porta a fare economie, evitando allestimenti importanti, cercando copioni con due o pochi personaggi che consentano di tenere basso il foglio-paga. C’è chi sindacalmente ha reagito a questo stato di cose, e non pare abbia ottenuto risultati. Magari lo Stato farà ammenda all’ultimo momento, quando l’arte di Melpomene sta per morire. Ma poi, come ci dicono secoli di storia, non morirà mai perché ha una funzione insostituibile.

La televisione può venire in aiuto del teatro?
Per ora, e da molto, l’ha abbandonato. Ricordo bene, avendovi partecipato, quando sul piccolo schermo, ancora in bianco e nero, il “venerdì della prosa” teneva avvinte masse di appassionati, con ottimi testi, produzioni sceltissime e attori di prim’ordine. Di tanto in tanto, rivedendo quanto emerge dalle teche della Rai, si parla di riproporre quella bella istituzione. Ma poi non succede nulla.

22 marzo 2006

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