All’Argentina il Leopardi di Martone
Tratto dalle Operette morali lo spettacolo prodotto dall’Ente Stabile di Torino, innestati sulla celebrazione del 150° anniversario dell’unità d’Italia di Toni Colotta
«Le classi superiori d’Italia sono le più ciniche di tutte le loro pari nelle altre nazioni»: un redivivo Giacomo Leopardi sottoscriverebbe ancora oggi questo giudizio espresso nel “Discorso sopra lo stato presente dei costumi degli italiani”, l’anno 1824. È lo stesso Leopardi pensatore, ma pur sempre poeta, che ritroviamo nelle “Operette morali” scritte in buona parte nel corso dello stesso anno, non come «evasione» nel corpus della sua opera mirabile ma piuttosto per il desiderio di comporre in fantasie e dialoghi la sua concezione del vivere, la sua filosofia. Proprio la struttura libera e la forma dialogica hanno più volte in passato indotto gli artisti di teatro a ricavarne uno spettacolo. L’ultima di queste operazioni, nata stavolta dalla ricerca irrequieta del regista Mario Martone, sarà sul palcoscenico dell’Argentina a partire da martedì 3 fino al 15 maggio. La produzione è dell’Ente Stabile di Torino, dove ha debuttato al Gobetti fra marzo e aprile.
La trasferta romana non intacca l’originalità della messinscena, su cui non ci attardiamo per lasciare che gli spettatori valutino, attraverso la «magia» dello specifico teatrale, la trasposizione scenica di questi singolarissimi testi, da molti posti fra i vertici della creazione leopardiana (consigliabile, per chi non li conosca, leggerli in precedenza), che il regista napoletano ha innestato sulla riflessione civile da cui è nato il suo film “Noi credevamo”, e quindi sulla celebrazione del 150° anniversario dell’Unità. Giacomo Leopardi nello “Zibaldone”, sulla nuova opera, annotava: «Nei miei dialoghi io cercherò di portare la commedia a quello che finora è stato proprio della tragedia, cioè i vizi dei grandi, i principi fondamentali della calamità e della miseria umana, gli assurdi della politica, le sconvenienze appartenenti alla morale universale e alla filosofia, l’andamento e lo spirito della società, della civiltà presente, le disgrazie e le rivoluzioni e le condizioni del mondo, i vizi e le infamie non degli uomini ma dell’uomo, lo stato delle nazioni».
Un proposito così battagliero si esplicò in 24 fra dialoghi e novelle, riflesso di una angoscia concettuale, per Giorgio Manganelli la «disperazione filosofica leopardiana». Martone vi ha colto inedite assonanze con autori angosciati del nostro tempo, come Samuel Beckett. E ha concentrato il suo spettacolo su una parte cospicua dei 24 componimenti, movimentando anche la geografia tradizionale dell’evento teatrale, insieme allo scenografo Marco Paladino, soprattutto per quel che riguarda la collocazione del pubblico.
3 maggio 2011