«All is lost», la lezione di Redford

La lotta per la sopravvivenza finisce per toccare sfumature spirituali, laddove solitudine significa necessità di affidarsi a una presenza in grado di colmare le paure interiori. Il film deve quasi tutto al protagonista di Massimo Giraldi

Robert Redford, alla bella età di 77 anni (è nato a Santa Monica nell’agosto 1937), non ha paura di rimettersi in gioco in modo originale. Lo scorso anno ha girato il film All is lost – Tutto è perduto – nelle sale dal 6 febbraio – del quale è interprete unico. L’operazione è tanto più degna di nota se pensiamo che Redford è uno dei testimoni del grande cinema americano classico, quello degli anni Sessanta e della decisiva svolta epocale dei Settanta, quando ha interpretato film quali Butch Cassidy, La stangata, Come eravamo. Nel 1990 poi Redford, insieme all’amico Sydney Pollack, ha fondato e diretto il Sundance Film Festival, che ha promosso e lanciato nel mondo tanti nomi nuovi del cinema del Duemila. Oggi propone allo spettatore una nuova scommessa.

Durante una traversata in solitaria nell’Oceano Indiano, un uomo si risveglia all’improvviso sullo yacht di 39 metri: sta imbarcando acqua dopo una collisione con un container abbandonato in alto mare. Con l’equipaggiamento da navigazione e la radio fuori uso, l’uomo riesce a riparare la breccia nello scafo, affronta una violenta tempesta, sopravvive grazie alle proprie doti di marinaio e all’esperienza dell’età. Ma è solo l’inizio di una serie di problemi sempre crescenti, di fronte ai quali lui è costretto a fare affidamento sulle correnti oceaniche per raggiungere una rotta di navigazione, nella speranza di incrociare un peschereccio di passaggio.

Circondato dagli squali e con le provviste che scarseggiano, il velista arriva ben presto a guardare in faccia la morte. Non diremo il finale, ma solamente che l’uomo (senza nome, «the man» nei titoli di coda) pronuncia solo poche parole nei 106 minuti della vicenda, eppure riesce con una presenza di crescente dinamicità a far lievitare tensione, emozione, commozione. Per due volte infatti la salvezza sembra a portata di mano, per due volte l’imbarcazione vicina si allontana senza essersi accorta di niente. Il silenzio cala sulla speranza, tutto sembra perduto e lo sguardo dell’uomo scruta inerte l’orizzonte. In realtà, accanto a Redford c’è un coprotagonista imperturbabile: l’oceano, ossia il mare, ovvero la Natura. L’oceano, vasto, inafferrabile, indifferente, è lo spazio del confronto uomo-natura eterno e irrisolto.

In mezzo c’è l’incoscienza, la volontà di affrontare sfide impossibili, la consapevolezza di rompere equilibri millenari. La lotta per la sopravvivenza finisce per toccare sfumature spirituali, laddove solitudine significa necessità di affidarsi a una presenza in grado di colmare le paure interiori. Condotto sul filo di una esemplare tensione narrativa, il film deve quasi tutto alla presenza di Redford, in grado ancora oggi di dare lezioni di recitazione a molti colleghi più giovani.

3 febbraio 2014

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