Quando i samurai giravano il mondo

Una lettura, quella di Shushaku Endo, che conserva intatto il proprio fascino, per l’unicità dell’episodio e per la sapiente capacità di ritrarre lo spirito nipponico, anche nelle sue pieghe meno luminose di Paolo Pegoraro

Lo scorso 1° febbraio Papa Francesco ha sottolineato che quanti annunciano il Vangelo – soprattutto se si rivolgono all’Estremo Oriente – devono prestare attenzione al contesto culturale. La raccomandazione affonda le radici nella secolare esperienza missionaria della Compagnia di Gesù, alla quale fu affidato il primo contatto con il Giappone. A riprova pochi giorni prima prima, il 15 gennaio, Bergoglio aveva ricordato l’esempio dei fedeli giapponesi costretti a vivere il proprio credo in clandestinità durante decenni di persecuzione. Particolarmente illuminante, in questo senso, è il romanzo Il samurai di Shushaku Endo, un gioiello ora riedito dall’editrice Luni che nel 1980 si aggiudicò il Premio Noma. Una lettura che conserva intatto il proprio fascino, non solo per l’unicità dell’episodio raccontato, ma per la sapiente capacità di ritrarre lo spirito nipponico, anche nelle sue pieghe meno luminose, con un’esattezza spietata.

Il samurai ricostruisce nei minimi dettagli una vicenda di quattro secoli fa, allorché – il 28 ottobre 1613 – una delegazione di quattro emissari giapponesi solca il Pacifico per stabilire i primi accordi economici con la Nueva España (il futuro Messico). Ad accompagnarli, ufficialmente in veste d’interprete, il missionario francescano Vrais Luis Velasco, dietro il quale si cela la figura storica di Padre Luis Sotelo (1574-1624), convinto sostenitore che il fine – tanto più se “alto” come l’evangelizzazione – giustifichi qualunque mezzo. Eccolo allora pronto a giurare ai mercanti giapponesi che nessuno vorrà commerciare con loro, a meno che non si facciano battezzare. Poco importa a Velasco se l’adesione al cristianesimo sarà puramente convenzionale, conta poter vantare numerose conversioni presso il Papa e venire così, magari, nominato vescovo del Giappone.

Nella delegazione c’è anche Hasekura Rokuemon (1571-1622), tipo del samurai che – vincolato dalla fedeltà al proprio “Signore” – si lascia strappare dall’amato feudo paludoso per imbarcarsi in una odissea finora mai affrontata da alcun compatriota. Tra il 1613 e il 1615, infatti, il viaggio dei samurai oltrepassa il Messico: vistesi negate le credenziali commerciali e illusi di poter trovare udienza presso il Re di Spagna, veleggeranno oltre l’Atlantico per raggiungere Saragozza, Barcellona, Saint-Tropez, Genova, Civitavecchia. Un giro del mondo che li conduce a Roma. Ridotta ormai a uno sparuto numero, la delegazione riesce infine a farsi ricevere dal Papa, ma sarà un incontro inutile, persino farsesco. Perché il loro destino è già stato deciso. Inconsapevoli pedine di una battaglia combattuta altrove, i samurai vedranno naufragare la propria missione tra intrighi di corte, conflitti tra ordini religiosi, rivalità e ambizioni personali.

Eppure è proprio nel momento dell’estremo fallimento che il seme dell’annuncio evangelico pare germogliare. «Ho varcato due oceani e sono andato in Spagna per conoscere un re. Ma non l’ho conosciuto, rimugina Hasekura al suo rientro in un Giappone tetramente mutato. Ho conosciuto soltanto quell’uomo inchiodato a una croce». Un uomo indifeso, emaciato, brutto, in nulla attraente. Perché, si domanda il samurai, gli occidentali tengono la sua figura affissa ai muri di ogni casa? Lo scoprirà quando la “nobile arte del governo” tradirà anche la sua indefessa devozione. Privato di tutto, abbandonato da tutti, Hasekura si incontrerà un altro “re”, colui che «si è trasformato in un cane per stare al nostro fianco». Quel re deriso e umiliato, che in Occidente chiamano “Signore”.

Shushaku Endo, Il samurai, Luni Editrice, pp. 331, € 20

27 febbraio 2014

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