«Hunger games», il bis è deludente
Il secondo capitolo cinematografico della saga di Suzanne Collins perde freschezza e inventiva. Il copione naviga a vista dentro uno scenario fantastico che non si sa come definire né motivare a livello visivo di Massimo Giraldi
Sono ormai parecchi anni che i cicli letterari sono diventati saghe cinematografiche. Forse al primo posto, per intensità e densità di contenuti, va messo Il Signore degli anelli, ma sono da ricordare Harry Potter (dieci capitoli), Twilight (tre), e ora Hunger Games, il cui secondo appuntamento arriva in sala con il titolo La ragazza di fuoco, appena un anno dopo l’esordio nel 2012. Il romanzo all’origine è quello scritto da Suzanne Collins, scrittrice affermata nella letteratura per bambini con il best seller del New York Times Underland Chronicles, successo confermato da The Hunger Games, pubblicato nel settembre 2008 e venduto in oltre 36, 5 milioni di copie solo negli Stati Uniti.
Questo secondo capitolo prende il via quando Katniss Everdeen e il suo compagno, il «tributo» Peeta Mellark, sono appena usciti vittoriosi dalla 74esima edizione degli Hunger Games. Vincere però vuol dire cambiare vita e abbandonare familiari e amici per intraprendere il giro dei 12 distretti, il cosiddetto Tour della Vittoria. Si tratta ora di passare attraverso la realtà di Panem, per poi esser coinvolti nella mietitura per i nuovi giochi progettati appositamente per la loro eliminazione. Lungo la strada, Katniss capisce che c’è una ribellione latente ma che Capitol City cerca di mantenere il controllo, proprio mentre il Presidente Snow sta preparando la 75esima edizione dei Giochi.
Dice Nina Jacobson, coproduttrice: «Abbiamo visto crescere il personaggio di Katniss e trasformarsi in una persona più consapevole nei confronti del proprio destino. È come se si fosse risvegliata in lei una coscienza etica e sociale, ma allo stesso tempo emerge un lato umano, quello che aspira a diventare un eroe, mentre in realtà tutto quello che vorrebbe è tornare a casa». Dichiarazione interessante perché contiene tutto quello che era nelle intenzioni dei realizzatori ma non appare a cose fatte. O almeno appare a fatica. Sappiamo che il dilemma principale è nel contrasto tra costrizione e libera scelta, tra superamento dei propri limiti e obbligo di obbedire ai superiori. In sintesi tra una vita «vera» e una fittizia, del tutto «virtuale».
Eppure questa materia, ripresa, manipolata, perde nell’occasione freschezza e inventiva. Il copione naviga a vista dentro uno scenario fantastico che non si sa come definire né motivare a livello visivo. Si affacciano riferimenti a titoli precedenti ben più corposi (Truman Show). Quello che doveva essere un gioco su abilità, coraggio, inventiva diventa azione seriosa solo a tratti nel cuore della fantasia giovanile, del mondo fantastico nel quale gli adolescenti costruiscono un proprio inafferrabile universo fatto di gesti, segni, sentimenti. Non resta che aspettare il terzo capitolo per una valutazione più esauriente.
2 dicembre 2013