Il cardinale Ravasi: Il gioco, analogia per parlare della fede

L’intervento del porporato alla giornata di studio, confronto e testimonianze sul calore educativo, culturale e spirituale dell’esperienza sportiva, all’indomani dei “100 metri di corsa e di fede” di R. S.

«La creazione di una rete di associazioni cattoliche che lavorino nel mondo dello sport, anche in accordo con le Conferenze episcopali». Monsignor Melchor Sánchez de Toca Alameda, sottosegretario del Pontificio Consiglio della cultura e incaricato del dipartimento “Cultura e sport” del dicastero, spiega i motivi del seminario internazionale “Believers in the World of Sports” (Credenti nel mondo dello sport) in corso oggi, lunedì 21 ottobre, in Vaticano, promosso dal Pontificio Consiglio in collaborazione con l’Ufficio per la pastorale del tempo libero, turismo e sport della Cei. All’indomani dei “100 metri di corsa e di fede”, staffetta promossa ieri in piazza San Pietro dal Pontificio Consiglio, definisce l’incontro con Papa Francesco «indimenticabile». «Si è trattenuto con tuti – dice -. Ne usciamo rafforzati nella fede». Secondo obiettivo, prosegue monsignor Sánchez de Toca, «lo scambio di esperienze». Ma il seminario «dovrebbe servire anche a preparare un grande evento internazionale con i vertici dello sport mondiale, responsabili di federazioni sportive mondiali e Comitato olimpico internazionale».

Per il sottosegretario, «lo sport professionistico mondiale si accorge di avere bisogno di valori, di nuove proposte e non sa dove trovarle. Noi possiamo contribuirvi con la proposta del Vangelo, proposta di un umanesimo cristiano». Infine la formazione di educatori sportivi, figure fondamentali sulle quali forse non abbiamo investito abbastanza. Professionisti che sappiano coniugare educazione fisica e trasmissione della fede». Sul senso del gioco come tessuto di «gratuità e libertà» si sofferma, in apertura del seminario, il presidente del Pontificio Consiglio della cultura, il cardinale Gianfranco Ravasi. Nel senso più ampio e creativo del termine, chiarisce, il gioco «appartiene all’essenza stessa dell’umanità». Per questo il credente dovrebbe «capirne meglio il significato autentico del gioco, e il gioco dovrebbe essere un’analogia per parlare della fede».

Nella cornice dell’Anno della fede, la giornata di studio, di confronto e testimonianze sul valore educativo, culturale e spirituale dell’esperienza sportiva, riunisce presso la sede del dicastero vaticano responsabili dello sport professionistico e dell’associazionismo sportivo cattolico, con un’attenzione particolare al rapporto sport-disabilità. Parte dalle Scritture il cardinale, per illustrare il racconto della creazione nel Genesi come «atto di gioco di Dio», e rammentare che nel Libro dei Proverbi «la metafora del gioco è una via per rappresentare la sapienza creatrice di Dio», e San Paolo assimila l’immagine della corsa nello stadio alla vita del cristiano, proteso verso il traguardo “ultimo”.

Teologia e antropologia del gioco, dunque, il filo conduttore della riflessione del cardinale Ravasi, che avverte: poiché «il tema della libertà è fondamentale, il peccato è sempre in agguato». Di qui tre “degenerazioni”. La prima: «Il gioco che diventa guadagno, commercializzazione, pubblicità per produrre risultati economici», oppure «degenera psicologicamente», ed ecco il richiamo alla ludopatia, in Italia vera emergenza sociale causa di «distruzione di molte famiglie». Ma anche la libertà «può ammalarsi, e si ammala nel tifo», è il monito di Ravasi, un termine che «già alla base ha un’accezione negativa perché in greco indica la febbre, la vanità». E spesso il tifo fa rima «con razzismo e violenza». Anche la terza componente del gioco, la corporeità, può ammalarsi. Così il corpo, «che non è solo un insieme di cellule, ma è ciò che siamo, la nostra persona», ridotto dalla «cultura contemporanea ad oggetto», può cadere in preda «alla cura maniacale, all’anoressia o alla bulimia o, in ambito sportivo al doping». Un pensiero, infine, anche alla «categoria dell’inutile», giacché il gioco, come l’arte, «in un certo senso è inutile, perché non produce nulla». Come la religione, «chiamata non a produrre, ma a cambiare i cuori». Eppure, è la conclusione del porporato, «senza la religione, senza l’arte, ma anche senza il gioco, il mondo sarebbe molto più povero e disperato».

21 ottobre 2013

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