Priviero, rock e poesia nel segno della speranza

Ritratto del cantautore veneto-milanese, in classifica agli esordi ma poi dimenticato dalle radio e dal mercato. Ultimo disco con una canzone su Maria. Il riferimento è la musica di Dylan, Springsteen, Petty Di Walter Gatti

L’Italia è terra di navigatori, santi e poeti. E quindi anche di cantautori. La definizione è in verità, vasta ed ambigua, se si pensa che si applica a un mondo che accoglie sotto lo stesso tetto De Gregori e Marco Mengoni. La definizione “tecnica” (scrivere e cantare in proprio) per anni è stata sorpassata da una definizione culturale tendente a identificare musicisti in grado di cantare problematiche socio-esistenziali con atteggiamento non allineato, dato quest’ultimo ormai sorpassato dai fatti e dai tempi. Cantautore erano Guccini dell’Avvelenata, cantautore è il Renga di Angelo. Qualcosa, ovviamente, è mutato: il cantautore non doveva essere un animale irriducibile e fondamentalmente capace di vivere sul crinale libertario e non troppo facile della vita? Un tempo, forse sì, oggi… forse.

Sta di fatto che pur nella crisi cosmica della canzone italiana, di “cantautori” ne rimangono tanti, tantissimi. Spesso sono poco noti e di certo i più interessanti non li vediamo al concertone del 1° maggio o in tv, perché i bravi ma non di massa non hanno il supporto mediatico e di marketing che sempre più spesso sopperisce alla mancanza di qualità, di creatività e di buona musica.

Il mix irriducibilità-buona musica e poesia è da sempre una caratteristica della produzione di Massimo Priviero, che si iscrive da anni alla categoria “cantautori rock che raccolgono meno di quello che valgono”. Per carità: da 25 anni questo musicista veneto-milanese produce album e attraversa l’Italia in tournée seguito fedelmente da un pubblico acceso ed entusiasta, ma se ai suoi esordi (era l’88: prima con San Valentino e poi con Nessuna resa mai) la risposta di vendite era stata tale da portarlo in classifica, negli ultimi anni i suoi prodotti faticano a circolare, non “bucano” la programmazione radiofonica (monocorde e noiosa), e rimangono per una nicchia di ascoltatori attenti.

Eppure nell’elenco dei cantautori puri, intensi e irriducibili nei confronti della vita e delle mode, proprio Priviero occupa un posto saldo. Merito di canzoni come La strada del Davai, Splenda il sole, Nessuna resa mai, Nikolajevka, brani dall’emozione incontrollabile, dove musica-cuore-umanità-speranza sono i quattro poli di una poetica forse unica nel panorama della nostra musica. In questi giorni Priviero ha pubblicato il suo quindicesimo disco, Ali di libertà.

Ancora una volta il rock di stampo americano, quello di Dylan, Springsteen, Tom Petty è il punto di riferimento delle sue scelte musicali. Ancora una volta le canzoni hanno radici nella sua vita personale (La casa di mio padre e Il mare), nel mondo che ci circonda, nelle speranze e nelle delusioni di giovani e vecchi che accettano le sfide della vita (occorre ascoltare Alzati, per capire dove arriva l’invito esistenziale del musicista veneto), nell’insistenza a camminare senza farsi demolire dalle paure e dalle delusioni, come cantato con potenza emozionante nel pezzo più bello dell’album, Io sono là.

C’è anche una nota in Priviero che va “oltre”. Una nota che da sempre porta a Cristo, alla sua presenza, ai sui seguaci meno “inquadrabili”. In questo nuovo disco c’è Maria, la mamma di tutti, soprattutto dei meno fortunati. La canzone, Madre proteggi, ha un andamento in crescendo, prende l’ascoltatore e lo fa entrare in un mondo nuovo, dove non c’e solitudine: «Madre degli innocenti, ogni giorno traditi. Madre degli offesi, che non hanno peccati. Madre dei guerrieri, che non voglion sparare. Madre dei malati, che sapranno guarire… Madre proteggi, questa vita mia. Madre carissima, Madre mia».

Batterie, chitarre e tastiere spingono letteralmente la voce potente e fisica di Priviero a raccontarci la storia di una vicinanza, di una misericordia che è la stessa – laica, personale e sociale – di quella Smisurata preghiera di Fabrizio de Andrè che rimane una delle preghiere più insolite e immense del nostro Novecento. Proteggici, canta Priviero, proteggici nella nostra quotidianità. Anche se non abbiamo successo, anche se non abbiamo salute, anche se crediamo di non avere futuro: proteggici Madre. Non lasciarci soli. E se fosse proprio questa compagnia materna ciò che permette alla libertà (che è titolo del disco) di volare senza paura?

1 ottobre 2013

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