Springsteen, il rock dalle radici bibliche

Il racconto di sogni e delusioni delle persone e della società, impregnato dei temi della speranza cristiana, miscelato a una musica trascinante: ecco il segreto del musicista in tournée in Italia in queste settimane di Walter Gatti

Ogni volta che lo si incrocia in una delle sue entusiasmanti tournée, ore e ore di musica sul palco, senza risparmio di energia e di fiato, se ne esce con lo stesso verdetto: Bruce Springsteen è “il rock”. Lo è per lo meno da 40 anni, dal 1973 del suo esordio discografico e dal 1975 di quel suo capolavoro senza tempo che è Born to run. E riconferma di esserlo in questi giorni, dopo le performance pazzesche di Napoli, Milano e Padova, nelle quali questo musicista di sessantaquattro anni ha mostrato tutta la sua capacità di coinvolgimento e romanticismo, gli stessi ingredienti che avevano fatto dire di lui negli anni Settanta che era “il futuro del rock’n’roll”.

Di radici irlandesi e italiane (la madre è campana e il suo cognome, Zirilli, non mente sulle sue origini), Springsteen ha disseminato le sue canzoni di riferimenti e citazioni bibliche. Una presenza, quella dei libri del Vecchio e Nuovo Testamento, che è costante anche in Bob Dylan e negli U2, in Joni Mitchell e Leonard Cohen.

In Bruce, che è imbattibile nell’istinto di raccontare il presente, i sogni e le delusioni, le paure e le speranze di singole persone come di tutta la società (e infatti non a caso negli Usa è considerato ancora oggi la voce più autorevole nei momenti “duri”, siano essi l’attentato alle Torri gemelle oppure l’uragano Sandy, oppure ancora la pesante crisi e economica che anche negli States ha fatto migliaia di disoccupati), il sentimento religioso prende sempre e comunque il volto della speranza. Gesù è la speranza ultima. La lunga catena della salvezza non può essere spezzata.

Come dice nelle sue ultime canzoni (Rocky ground, Land of hope and dreams) camminiamo in un mondo duro e faticoso, abbiamo subito sofferenze ed abbiamo vissuto paure, il sogno (quello di Thunder Road, quello di The River) ci ha molte – troppe – volte deluso, ma noi non smettiamo di avere speranza, quella speranza che non dipende dalle nostre sconfitte o dagli altrui immensi limiti, ma che nei nostri cuori pulsa come un indelebile segno d’umanità. Una speranza che è la stessa che si respira nei grandi gospel e nei rock’n’roll degli esordi. Quella speranza che era il senso di We shall overcome, lo spiritual a cui il cantante americano ha voluto dedicare un intero disco, rendendo onore ad un leggendario musicista folk, Pete Seeger.

Una speranza che non è altro che frutto di un cuore cristiano, senza mezzi termini. Il più trascinante rocker vivente può avere una forte radice cristiana (e per di più cattolica?). Ebbene sì. Una radice anche molto evidente nelle tante e tante canzoni che Springsteen ha scritto e cantato, nelle quali riesce nel miracolo di rendere semplice e contemporaneo quel dialogo tra uomo concreto ed eternità.

Nel 2005, cantando in Devils and Dust delle angosce di una generazione di giovani che ritrovava nella guerra in Iraq le stesse ferite della guerra del Vietnam, affidò a Jesus was an only son il compito di esprimere nella solitudine sofferta di Gesù di fronte al Getsemani la sconsolata paura di tanti americani al fronte, una canzone che stempera nell’abbandono quella paura ancestrale di fronte al sangue, alla solitudine, alla morte:

Gesù era un figlio unico
mentre saliva il Golgota
Maria sua madre gli camminava al fianco
lungo la strada che si tingeva del suo sangue
Gesù era un figlio unico sulle colline di Nazareth mentre leggeva i Salmi di David sdraiato ai piedi della madre
Una madre prega “Dormi bene, figlio mio, dormi bene perché io sarò al tuo fianco
Che nessuna ombra, nessuna oscurità nessuna campana a morto possa farsi strada fra i tuoi sogni questa notte”
(……..)
C’è una perdita che non può essere compensata / una destinazione che non può essere raggiunta / una luce che non troverai in un altro viso / un mare la cui vastità non può essere abbracciata / Gesù baciò le mani di sua madre e sussurrò “Madre, ferma le tue lacrime e ricorda che l’anima dell’universo ha voluto un mondo ed esso è comparso
.

Springsteen non può essere “confuso” con altri. Negli Stati Uniti il fenomeno della “Christian music”, un variegato esercito di musicisti di varia estrazione e genere (si va dall’hard rock al folk) è ormai divenuto un segmento di mercato importante, con classifiche, festival, riviste di riferimento. Ma questo mondo ha forse il vizio di rivolgersi “ab intra”, ai puri appassionati di settore e a quegli americani che rimangono fedeli ad una visione religiosa del mondo, forse però incapaci di apertura e dialogo reale.

Springsteen non si è mai posizionato in quell’universo, visto che non è un predicatore. Eppure è riuscito e riesce ancora oggi a far circolare e a far digerire Gesù Cristo e i temi della speranza biblica un po’ a tutti, a bianchi e neri, a giovani e vecchi, a mangiapreti e a devoti. Il tutto con quella forza, inaudita, che può dare una chitarra ben suonata.

7 giugno 2013

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