Sandulli: mercato occupazionale troppo rigido

Intervista al giuslavorista sul ddl di riforma. «Positivo l’incontro di domanda e offerta di lavoro, caratterizzato da regole precise e trasparenti, in cui siano equamente distribuite funzioni, poteri e tutele» di Nicolò Maria Iannello

In attesa che compia il suo iter parlamentare, il disegno di legge recante disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro continua a essere al centro del dibattito. Ma in che cosa consiste e a quali prospettive aprirebbe? Sottolinea i temi principali del ddl Pasquale Sandulli, già ordinario di diritto del lavoro alla Sapienza.

Quali sono i punti salienti della riforma?
Il disegno di legge, che conclude lo smantellamento di un mercato del lavoro rigido creato nel dopoguerra e cristallizzato nello statuto dei lavoratori, mira a dare base normativa a una regolazione liberale delle fasi in cui avviene l’incontro fra domanda e offerta di lavoro, con l’obiettivo di creare lavoro in concreto. Nello specifico, rivedendo i modelli contrattuali e il regime dei licenziamenti. Si concentra pure sull’incremento della formazione, sugli incentivi occupazionali rivolti anche agli anziani, sul sostegno del reddito nel tempo di non lavoro, e su alcuni altri temi.

Molte le novità. Ma come cambierebbe il mercato del lavoro ?
Attraverso lo sfoltimento dei modelli contrattuali e soprattutto con la prevenzione degli abusi: colpiti in questo senso sono le collaborazioni elusive e l’associazione in partecipazione. Ancora, con l’inasprimento del carico contributivo verso i modelli contrattuali sospetti o sgraditi. E con la maggiore armonizzazione della disciplina dei licenziamenti, nell’auspicio che essa non si proponga più come ostacolo all’ampliamento delle aziende, insieme con la penalizzazione economica del licenziamento. Sarebbe auspicabile che venisse attivata una linea, ora mancante, di flessibilizzazione della prestazione di lavoro, a meno che non si dia per scontata la valorizzazione dei contratti in deroga.

Ci sarebbero dei benefici per tutti quei giovani che vivono una situazione di precarietà lavorativa?
Al di là della valorizzazione del contratto di apprendistato, che tuttavia risulta troppo enfatizzato a scapito del soppresso contratto di inserimento, non risulta nell’immediato una normativa ad esclusivo vantaggio dei giovani, che dovranno attendere l’esercizio delle deleghe sui tirocini formativi. Un vantaggio indiretto deriverà dalla maggiore severità nel controllo contro l’abuso del precariato e nelle norme di tutela della genitorialità.

La riforma può considerarsi una «buona misura» per fare fronte all’attuale crisi economica?
L’incontro di domanda e offerta di lavoro, caratterizzato da regole precise e trasparenti, in cui siano equamente distribuite funzioni, poteri e tutele, è un dato positivo per implementare l’occupazione. Per questo, il giudizio sul ddl non può che essere positivo, con l’avvertenza che un «buon mercato del lavoro» non è in sé sufficiente per far nascere occupazione, e, a monte, imprese produttive. Razionalizzare le misure di sostegno del reddito, con il contenimento delle stesse e la loro estensione, può avere effetti imprevedibili, e dunque ragionevolmente se ne prevede una graduale attuazione. Massima concentrazione degli sforzi va applicata nel processo di formazione e riqualificazione, con il coinvolgimento delle Regioni.

L’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori è uno dei punti più «caldi»: cosa prevedono le modifiche proposte e come le valuta?
La reintegrazione (non è più questo il titolo dell’art. 18) non è costituzionalizzata, anche se nel ddl essa permane con delle modifiche. Fra queste, le procedure previste per il licenziamento economico individuale. In tal senso è utile ricordare che nel caso in cui sia «manifesta l’insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo», il giudice «può» applicare la reintegrazione solo per questo tipo di licenziamento economico. Ai fini del rimedio applicabile, entrambe le fattispecie di licenziamento, soggettivo e oggettivo, vengono dunque segmentate, lasciando al giudice, sia pure nel rito abbreviato, una non piccola discrezionalità. Il ddl si è poi reso conto della necessità di intervenire anche in materia di licenziamenti collettivi, eliminando storture derivanti dal collegamento con l’art. 18. Insomma, né l’art. 18 né la reintegrazione sono stati abrogati, bensì ne è stata attenuata la portata.

16 aprile 2012

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