Famiglia, lezioni di vita con lo sguardo del cinema

In vista del VII Incontro mondiale in programma a Milano dal 30 maggio al 3 giugno, in un simposio al Laterano il punto sul legame tra nucleo familiare e narrazione cinematografica di Mariaelena Finessi

È dalla questione dell’emergenza educativa, sollevata da Benedetto XVI con la lettera alla diocesi di Roma del 2008, che prende avvio il convegno “Quale famiglia per quale società” svoltosi mercoledì 11 gennaio presso la Pontificia Università Lateranense alla presenza, tra gli altri, del cardinale Ennio Antonelli, Presidente del Pontificio consiglio per la famiglia. Educare «non è mai stato facile – scrive il Pontefice -, lo sanno bene i genitori»; per questo si parla «di una grande “emergenza educativa”, confermata dagli insuccessi a cui troppo spesso vanno incontro i nostri sforzi per formare persone solide, capaci di collaborare con gli altri e di dare un senso alla propria vita». Eccolo, dunque, il vero nodo sul quale oltre 5mila esperti di tutto il pianeta sono chiamati a confrontarsi per il VII Incontro mondiale delle famiglie che si terrà a Milano dal 30 maggio al 3 giugno, come illustra don Davide Milani, responsabile Comunicazioni sociali della diocesi ambrosiana. Con il simposio di Roma, l’ateneo del Laterano, attraverso l’Istituto pastorale Redemptor Hominis e l’Istituto Giovanni Paolo per studi su matrimonio e famiglia, anticipa però le discussioni di quei giorni, ponendo come interrogativo il legame esistente tra la famiglia e la narrazione cinematografica.

«Il sistema dei media orienta le relazioni familiari – spiega il Rettore della Lateranense, il vescovo Enrico dal Covolo – rimodellando tempi e ruoli». Ecco perché il cinema diventa uno strumento degno di attenzione. Anche il preside dell’Istituto Giovanni Paolo II, Livio Melina, riflette sul cinema, «che può essere d’aiuto, indirizzando il nostro sguardo e facendoci cogliere nella crisi una nostalgia e un grido che ci fa andare oltre». Come a dire che solo guardandosi allo specchio – perché come tale è visto il grande schermo – è possibile riflettere sui nostri errori. «Lo spettatore – chiarisce José Noriega Bastos, dell’Istituto Giovanni Paolo II – vede in celluloide se la propria vita è riuscita oppure no. Ovvero adotta la trama cinematografica come cartina di tornasole, per scoprire quanto la propria vita sia distante o meno da quella raccontata dagli attori». «Rappresentazione, infatti, è parola che viene dal latino re-ad-praesentare – puntualizza monsignor Dario Edoardo Viganò, preside del Redemptoris Hominis -, cioè “rendere presenti cose passate”». Far emergere, appunto, ciò che di noi stessi non conoscevamo.

Scoprire le proprie ombre rende genitori migliori, sebbene questo comporti fatica: «La relazione implica legami di senso che, prima di tutto, sono intergenerazionali», chiarisce Chiara Palazzini, pedagogista e vice preside del Redemptor Hominis. «Ecco perché è sbagliato porsi, come mostrano le fiction, quali genitori amici. I “no”, ricordiamolo, aiutano invece a crescere», mentre la crisi nasce «da una deresponsabilizzazione degli adulti e da una contemporanea adultizzazione dell’infanzia». Di buono, conclude Palazzini, c’è che «nella fiction il dialogo tra genitori e figli è una costante. A questo potremmo dire di sì».

12 gennaio 2012

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