Teatro Valle, l’occupazione continua

Dopo lo scioglimento dell’Eti, gli operatori dello spettacolo contestano la gestione del ministero con un inarrestabile happening di eventi. Non ancora operativo l’accordo che lo affida al Teatro di Roma di Toni Colotta

In anni lontani ma non troppo, mentre infuriava l’ennesima crisi del teatro italiano il grande Romolo Valli, al colmo dello scoramento, se ne uscì con questa frase amara: «Se anche chiudessero i battenti tutti i teatri nessuno se ne accorgerebbe». Alludeva all’indifferenza dell’opinione pubblica che avvolgeva i palcoscenici, come un sudario.

Non sappiamo se fra gli occupanti di lungo corso del romano Teatro Valle circoli questo ricordo ma è certo che la loro azione non rischia di cadere nel vuoto. Organi di stampa più o meno schierati fanno eco alla polemica, che ha raggiunto persino i fasti del Festival cinematografico di Venezia dove una corposa delegazione dei “rivoltosi” romani ha esportato la protesta occupando la sala del Teatro Marinoni situata nell’ex Ospedale del Mare e poi abbandonata, incassando fra altri plausi un messaggio di Francis Ford Coppola.

Questo almeno la perseveranza vociante degli occupanti è riuscita ad ottenere: sulla protesta si sono manifestate le posizioni più diverse, tutte concordi nell’invocare da chi può una soluzione che dia al futuro del Valle certezze operative degne del suo passato.

Ed è un passato che affonda le sue origini nel Settecento con l’impronta architettonica del Valadier e un ruolo artistico di punta che ha attratto sul palcoscenico dell’attuale via del Teatro Valle un Pergolesi e un Piccinni, e Cimarosa, Rossini, Donizetti, oltre, nelle epoche successive, grandi personalità della prosa fra cui la Ristori, Zacconi, la Duse fino ai grandi di oggi. La fase storica che ora tempestosamente ci sta scorrendo sotto gli occhi si fa iniziare da quando mesi fa l’Ente Teatrale Italiano, organismo pubblico che l’aveva gestito con onore, venne sciolto. E in attesa di un nuovo assetto l’interim, diciamo così, fu retto dal ministero Beni Culturali (acronimo Mibac) con una programmazione asfittica e qualche rivalorizzazione della vecchia avanguardia.

Lo stallo sugli sbocchi alimentò voci e quindi timori di una privatizzazione ovvero svendita di quella buona reputazione conquistata dall’Eti. E nacque il moto spontaneo di un’occupazione per resistere ai tentativi, si diceva, di fare del Valle un “bistrot”, uno strumento cioè di pura speculazione economica a scapito della qualità culturale. Cominciarono a fioccare progetti di attività accompagnati dagli appelli a sostenere la causa che ricevettero largo appoggio morale fra artisti e intellettuali che con altri appassionati confluivano nella platea aperta a tutti notte e giorno.

Mentre sul palcoscenico si svolgeva a loro beneficio un inarrestabile “happening” di teatro, musica, danza e quant’altro, persino visite guidate. Come non si era mai visto. Non solo creatività e divertimento: dietro le quinte insigni giuristi lavoravano alla nascita di una fondazione che desse forma giuridica al tutto. Notevole è stata l’iniziativa di laboratorio per una drammaturgia contemporanea, tenuto da Fausto Paravidino.

Fuori dallo spontaneismo l’amministrazione di Roma Capitale siglava intanto un protocollo con il Mibac per affidare la gestione al Teatro di Roma, lo Stabile pubblico, accordo per ora tuttavia non operante, e accolto con diffidenza dagli imperterriti occupanti. Ai quali non sarà piaciuta neppure l’ultima uscita di parte pubblica – al momento in cui scriviamo – del parlamentare Pdl Federico Mollicone, presidente della Commissione Cultura di Roma Capitale, che non risparmia gli accenti critici: «Senza criminalizzare i ragazzi che occupano, lanciamo loro un ultimo appello: la ricreazione sta finendo ed è arrivato il momento di restituire ai romani un bene pubblico».

8 settembre 2011

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