“Dieci inverni” di Mieli, storia ruvida e delicata

L’opera prima del regista racconta una storia d’amore fatta di incontri e separazioni, ma romantica e fiabesca insieme di Massimo Giraldi

È in sala un’opera prima italiana da salutare con calore. Si intitola “Dieci inverni”, e la storia, amara e niente affatto compiaciuta, prende il via nell’inverno (appunto) del 1999. Camilla e Silvestro, studenti, si incontrano su un vaporetto che attraversa la laguna di Venezia. Lui appare molto sfacciato e lei si mette sulla difensiva. Si rivedono e, quando lei, che studia letteratura russa, va a Mosca, lui va a trovarla senza avvertire e anche senza molto successo. Per dieci anni Camilla e Silvestro ruotano intorno a se stessi, si vedono, si perdono di vista, si scrivono, vivono storie separate. Ma, forse, si inseguono.

Dice Valerio Mieli, regista esordiente: «I due ragazzi, non riuscendo ad amarsi subito, devono imparare a farlo, destreggiandosi tra le difficoltà del diventare adulti. Per avvolgere il racconto, ho voluto una forma di romanticismo vera e fiabesca insieme. Da qui la scelta di una città poetica come Venezia, vista nel volto quotidiano dei mercati del pesce, dei bàcari, dell’acqua alta».

Va detto che l’eccessiva dilatazione temporale del racconto rende qualche passaggio meno credibile, mentre a convincere è il tono della regia, sempre sorvegliata, in grado di cogliere tutte le sfumature emotive. Ne esce una storia d’amore ruvida e delicata, specchio delle incertezze di tanti giovani d’oggi.

14 dicembre 2009

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