La scuola della comunità cristiana

di Filippo Morlacchi

Concludendo – almeno per il corrente anno sociale – questi spunti di riflessione sul mondo della scuola, non poteva mancare una parola sulla scuola cattolica. Una realtà della quale si dice spesso ogni male, non di rado senza cognizione di causa e gratuitamente, a volte – va ammesso – mettendo impietosamente il dito su alcune piaghe che purtroppo restano aperte. Qual è la situazione della scuola cattolica a Roma?

Innanzi tutto va detto con chiarezza che le scuole di ispirazione cattolica svolgono un servizio assolutamente necessario. Soprattutto per quanto riguarda le scuole dell’infanzia, se non ci fossero le strutture gestite da congregazioni religiose femminili, il sistema sarebbe collassato, assolutamente inabile a rispondere alle esigenze delle famiglie. Non solo: l’attuale sistema di finanziamento (o non-finanziamento) in realtà consente allo Stato un notevole risparmio. L’Associazione Genitori delle Scuole Cattoliche (AGESC) alcuni mesi fa ha diffuso un rapporto da cui risulta che le scuole paritarie, frequentate da oltre un milione di studenti, fanno risparmiare ogni anno la bella somma di 6.245 milioni di euro al bilancio dello Stato. Come è possibile?

La legge 62/2000 sulla parità scolastica ha stabilito che nel sistema pubblico di istruzione vi possono essere differenti gestori. In precedenza invece il termine pubblico veniva equiparato a quello di statale, come se solo le scuole gestite dallo Stato svolgessero un servizio pubblico. Il dossier spiega che questo riconoscimento finora si è espresso «solo in termini giuridici, non realizzando contestualmente la parità economica, le condizioni, cioè, perché le famiglie possano scegliere liberamente, senza condizionamenti economici, fra scuole facenti parte del sistema nazionale di istruzione, statali o paritarie che siano». I dati raccolti si riferiscono agli ultimi due governi proprio per significare che l’attenzione al mondo della scuola paritaria non è variato radicalmente con il colore politico. Nell’ultimo anno del quinquennio di governo del centrosinistra (1996-2001) le scuole paritarie ricevettero finanziamenti per 476.660.280 euro; al termine del penultimo governo di centrodestra (2001-2006) la somma è salita a 566.810.844 euro. Si noti peraltro che non tutti questi soldi vanno alle scuole gestite da privati: circa il 15% (90 milioni) va infatti alle paritarie comunali, soprattutto dell’infanzia.

A questo punto però viene la sorpresa: questa somma, che sembra pesare negativamente sul bilancio statale, indica invece un cospicuo risparmio per lo Stato. Infatti dividendo l’importo finanziato per i numero degli studenti si ricava che il costo annuo per lo Stato di uno studente di scuola paritaria è rispettivamente di 584 euro per la scuola dell’infanzia, 866 per la primaria, 106 per la secondaria di I grado e 51 per la secondaria di II grado, a fronte di ben 6.116, 7.366, 7.688 e 8.108 euro rispettivamente nei quattro ordini di scuola per ogni alunno di scuola statale! Il risultato è che se le scuole paritarie improvvisamente chiudessero, riversando oltre un milione di studenti negli istituti statali, le casse dello Stato si vedrebbero costrette a sborsare 6.245 milioni di euro in più. «Il “collasso” economico del sistema non statale – si legge nel dossier – comporterebbe un aggravio di spesa per lo Stato equivalente ad una manovra finanziaria», per cui le scuole paritarie (la maggioranza delle quali sono le scuole cattoliche) risultano economicamente “convenienti” per lo Stato. L’estinzione della scuola paritaria, contro cui si levano ancora voci forse non numerose ma che strillano forte, sarebbe dunque un “autogol” anche solo dal punto di vista economico, senza tenere in considerazione il contributo che tali scuole offrono ad una vera educazione pluralistica.

Va poi messo in chiaro che le scuole cattoliche non devono essere confuse in nessun modo con i cosiddetti “diplomifici”, cioè quelle scuole non paritarie che consentono agli studenti di recuperare anni scolastici senza nessun serio impegno di studio, sborsando cospicue somme per ottenere alla fine un titolo di studio. Il confronto tra il presunto rigore o la vantata serietà delle scuole statali e l’eccessiva indulgenza delle scuole cattoliche è una favola che può essere facilmente smentita dalle difficoltà crescenti della scuola pubblica a svolgere il proprio compito: tutto il sistema di istruzione e formazione naviga nelle stesse incertezze, e le soluzioni di eccellenza non sono patrimonio esclusivo né di una né dell’altra parte.

Chiudo accennando ad un’ultima polemica: le scuole cattoliche – criticano alcuni con asprezza – sono scuole di élite, nelle loro classi non si vede mai un bambino extracomunitario, dunque non sono in grado di educare alla reale multietnicità e al confronto con stili di vita più modesti, a cui oggi i bambini devono abituarsi. Ebbene, certamente se le scuole cattoliche fossero finanziate con una gestione integrata (come le cliniche convenzionate, per capirsi) probabilmente le quote di iscrizione sarebbero più accessibili e non costituirebbero più un ostacolo insormontabile ai meno abbienti. In tal modo forse si perderebbero quegli alunni che vengono mandati nella scuola cattolica non per una scelta educativa, ma solo per un scelta elitaria: ma questa, per le scuole cattoliche serie, non sarebbe una grave perdita… Al contrario, si avrebbe una maggior accessibilità da parte di tutti coloro che veramente desiderano per i loro figli un’educazione coerente con i principi evangelici; inoltre il corpo docente potrebbe lavorare con più efficacia, condividendo un progetto formativo effettivamente modellato su una visione credente dell’uomo e di Dio, e la scuola cattolica potrebbe svolgere al meglio la sua funzione.

Le scuole cattoliche oggi desiderano una maggiore attenzione da parte della comunità cristiana, che spesso non le prende in considerazione né come luogo di elaborazione della cultura né come luogo di educazione cristiana. Certo, non tutte le scuole cattoliche sono all’altezza di queste aspettative; però l’auspicio è che gradualmente la scuola cattolica venga percepita dai cattolici come una risorsa preziosa per l’educazione, e anzi che venga sentita come “scuola della comunità cristiana”: non per rinchiudersi in un ghetto, ma per fornire un’educazione a 360 gradi, aperta al mondo ma capace anche di offrire una visione del mondo solidamente ancorata nella fede della Chiesa. Troppo spesso invece le comunità cristiane sembrano venate di un incomprensibile statalismo, diffidenti, incapaci di valorizzare la ricchezza che una scuola efficacemente modellata su un progetto educativo coerente con i valori evangelici costituirebbe per l’educazione.

La scuola cattolica non deve essere esclusa dalla pastorale di rete e considerata un affare privato delle congregazioni religiose che le gestiscono: è invece un’opportunità su cui vale la pena, oggi più che mai, scommettere. Certo, si tratta di una scommessa la cui posta è alta, e il cui risultati si possono attendere solo in tempi non immediati. Però là dove famiglia, comunità cristiana e scuola lavorassero in piena sintonia, probabilmente si potrebbero raccogliere frutti meravigliosi. La scuola cattolica non è “la scuola dei preti” o “delle suore”: è la nostra scuola, la scuola della comunità cristiana. Se questa consapevolezza si diffondesse, credo che l’educazione dei nostri giovani ne trarrebbe grande giovamento.

20 giugno 2008

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