Dodi Battaglia racconta “La grande festa” dei Pooh

Parte dal Palalottomatica, sabato 18 marzo, la grande tournèe per festeggiare i 40 anni del gruppo italiano più longevo di Concita De Simone
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Il gruppo più longevo e continuo del mondo festeggia quest’anno 40 anni di storia. I Pooh hanno prodotto quasi un album inedito all’anno e tutti i loro album sono sempre stati nelle hit entro i primi 3 posti. Una curiosità vuole che sommando i giorni di permanenza nelle classifiche di vendita dei dischi dei Pooh dal ’66 ad oggi, i quattro risultano gli unici artisti italiani ad aver raggiunto un totale di presenze di oltre 5 anni per i brani singoli e oltre 11 anni nelle classifiche degli album. Ma, al di là dei numeri di cui essere orgogliosi, c’è la storia di quattro “amici per sempre”, le cui vicende personali si sono intrecciate in tutti questi anni con la loro musica ma anche con la vita di ognuno di noi. Dal ‘66 a tutto il ’72 i Pooh hanno rimescolato la loro formazione. All’alba del ’73 Roby Facchinetti, Dodi Battaglia, Stefano D’Orazio e Red Canzian diventavano i definitivi componenti di quello che non sarà più un “complesso”, ma un vero e proprio “gruppo”. Altri gruppi nati negli stessi anni sono ad oggi ancora in attività, ma la loro storia è stata sempre interrotta da cambiamenti di organico, litigi, riappacificazioni, abbandoni e ritorni, o spesso il loro successo si è fermato molti anni fa e vivono oggi di memoria e revival. I Pooh no. Non hanno mai subito flessioni di popolarità o di successo. Eccoli oggi a festeggiare con una grande tournèe il loro importante compleanno. Ne parla a Roma sette Dodi Battaglia, il chitarrista del gruppo, uno dei migliori a livello europeo.

Dodi, dai “complessi” di 40 anni fa alle “boy band” di oggi, cosa è cambiato nella musica italiana?
Tutto e niente. Mi sembra che un certo tipo di approccio che i gruppi hanno nei confronti della musica sia rimasto il medesimo. Molti dei gruppi nuovi assomigliano a quelli degli anni Sessanta. Però è cambiata la tecnologia, i mezzi di comunicazione. Prima ci si ritrovava a provare nelle cantine quello che si ascoltava a casa sul giradischi o sui primi giradischi color nocciola. Adesso c’è internet, ci sono le scuole di musica e lo scambio è più diretto. Una cosa è rimasta simile, forse, cioè il riscontro che hai con gli altri. Quando fai una cosa, una musica, un testo, un arrangiamento, hai subito la fortuna di avere un riscontro immediato. È questo il bello di lavorare in un gruppo.

Tra di voi siete molto critici?
Tantissimo. Siamo critici e selettivi, non lasciamo correre niente. Quello che ci lascia ancora dubbiosi la sera prima lo risolviamo dopo averci meditato su la notte. Vedete, uno dei pochi o tanti segreti della longevità dei Pooh è il fatto di provenire da città diverse e questo ci pone in altrettante ottiche diverse. Io sono di Bologna, Roby è bergamasco, Stefano romano e Red di Treviso. Quindi abbiamo un approccio nei confronti non solo della musica ma anche della vita, delle scelte, ben diverso. Perciò, quando prendiamo un decisione che mette d’accordo tutti, significa che c’è già un bel campionario di opinione!

Dagli inizi del 1973 tutti voi siete i definitivi componenti del gruppo. Come siete cresciuti artisticamente e umanamente insieme?
Siamo cresciuti tanto. Molte cose sono cambiate ma non il nostro approccio nei confronti della musica. Sono cambiati i collaboratori, le maniere di esprimersi, gli studi di incisione. Siamo cambiati anche noi. Da ragazzi siamo diventati padri. Questo ci ha messo in condizione di essere più coscienti. Al di là dei dischi primi in classifica, dei Telegatti, delle grandi tournèe in Italia e all’estero, siamo persone che hanno anche cercato di spendere la loro credibilità per delle cause importanti. La musica già da sola dà grandi soddisfazioni ma quando possiamo fare qualcosa per gli altri è ancora meglio. In questa presa di coscienza di essere “più uomini” abbiamo coinvolto anche il nostro pubblico che ha sostenuto con noi, via via, i nostri progetti per il Wwf, Telethon e recentemente per “Rock no war”.

Qual’è il punto di forza di ogni singolo componente della band?
Parto da Roby che è un po’ l’anima musicale e compositiva dei Pooh. È lui che ha in sé le melodie di ampio respiro tipicamente italiane che hanno fatto il nostro grande successo. Stefano, nonostante sia romano, ha una mentalità quasi svizzera. È preciso, puntiglioso, non dimentica niente. Questa sua caratteristica è il modo per noi di rendere attuale quello che ci diciamo, perché lui segna tutto e lo trasforma poi in realtà, è molto determinato. Red è quello concreto, lui prende le cose che fa in maniera molto seria, e in questo mestiere c’è bisogno di convinzione. È anche molto bravo nei rapporti interpersonali e si relaziona in maniera eccellente. È quello che ha una visione più estetica e cura le copertine, le scritte, gli abbinamenti dei colori. Devo parlare anche di me?

Magari una piccola cosa sulla caratteristica che ti contraddistingue.
La passione per la musica. Ho cominciato prima a suonare e leggere la musica e poi le lettere. I miei genitori, che purtroppo non sono più con me, hanno sempre preso molto seriamente questa mia volontà. Quando ero piccolo io, chi diceva in casa di voler fare il musicista non veniva preso sul serio. Invece io sono sempre stato incoraggiato e ho sempre cercato di meritare la fiducia dei miei genitori. Tutt’oggi non suono meno di quattro o cinque ore al giorno per tenermi in allenamento. Il talento non è un merito, ci si nasce, ma va coltivato. Questa caparbietà, questa passione, mi hanno permesso di essere anche eletto miglior chitarrista europeo e miglior chitarrista italiano per due anni. E oggi sono fiero di poter dire che sono il chitarrista, magari bravo, del miglior gruppo italiano.

È terminato da poco il Festival di Sanremo dove, se vogliamo, ha vinto una filastrocca a sfondo sociale. Ma nel 1990 voi avete vinto con un brano di un certo spessore, “Uomini soli”. Come è nata la scelta di questa canzone “anti Festival”?
Noi abbiamo scelto non di fare il Festival e portare questa canzone ma viceversa, cioè avevamo realizzato “Uomini soli” e abbiamo deciso di portarla a Sanremo. Ci piaceva la scommessa un po’ controcorrente, per smentire un certo tipo di discografici o di addetti ai lavori che pensavano che a Sanremo potessero andare solo cose leggere, rime scontate. Noi avevamo questo brano molto bello in cui prendevamo coscienza della società che stava cambiando e portava nuove solitudini. Abbiamo dimostrato che una bella canzone, che suscita emozioni, può vincere al Festival di Sanremo.

Parliamo di “La grande festa”, che è anche il vostro ultimo album. Che effetto vi fa riascoltare le vostre canzoni e sentirle cantare da più generazioni?
Abbiamo voluto fare una raccolta che rappresentasse gli inizi ma anche la parte più recente. Per il singolo inedito e omonimo abbiamo coinvolto 60 fans, scelti tra le oltre 2mila richieste per fare il coro ed è stata un’esperienza molto entusiasmante. Così come lo sono i nostri concerti, dove viene “la piccola Ketty” e anche la figlia che magari sta aspettando un’altra figlia. Siamo ormai alla terza generazione. Magari qualcuno si è anche conosciuto con la nostra musica. Questa manifestazione di stima e affetto è vitale per noi. La stima del pubblico è la cosa più desiderabile.

Cosa vedremo sabato 18 marzo sul palco del Palalottomatica con i Pooh?
Abbiamo ripescato brani che non facevamo da decenni. Illumineremo il palco in maniera meno tecnologica rispetto agli ultimi tempi ma più passionale. Abbiamo una serie di schermi che proietteranno delle immagini della nostra storia. Saranno tre ore di concerto, con oltre cinquanta brani. A Roma è il debutto ufficiale anche se abbiamo già fatto un pre-debutto ed è stato uno dei più bei concerti della nostra storia.

17 marzo 2006

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