Nel nuovo film di Avati la memoria e la nostalgia

Un viaggio fra quelle vicende minime, non riportate dai libri di storia, ma che interessano e affascinano il regista di Massimo Giraldi

Arriva nelle sale «La seconda notte di nozze», il nuovo film di Pupi Avati (nella foto). Classe 1946, il regista bolognese non rinuncia, nelle proprie storie, a fare ricorso a spunti autobiografici. Il racconto prende il via nel capoluogo emiliano nel secondo dopoguerra e, almeno all’inizio, l’autore mette insieme ricordi della propria infanzia, legata soprattutto alla madre, rimasta vedova giovane. In seguito, per motivi legati alle precarietà quotidiane e a parentele mescolate con timidi sentimenti, la signora Lilliana si trasferisce insieme allo scapestrato figlio Nino nel Sud, in una grande masseria del Salento, dove forse comincerà per loro una nuova vita. «Il viaggio – dice Avati – vede rovesciato l’itinerario verso il Nord che tanti meridionali avrebbero affrontato solo pochi anni dopo». Anche in questa occasione il percorso della memoria e del recupero di vicende minime, la piccola storia che i libri non riportano, interessa e affascina il regista. L’affresco è caldo, minuzioso e affettuoso. Ne esce un’umanità dolente ma non rassegnata in grado di rispondere ai richiami degli affetti. Non si toccano livelli visionari, ma l’afflato poetico è convincente.

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