“127 ore”, lo scontro tra uomo e natura

Nelle sale la nuova pellicola di Danny Boyle sulla storia vera di Aron Ralston, giovane escursionista che rimane bloccato in un canyon nello Utah di Massimo Giraldi

Tra i molti nuovi titoli in sala a partire da questo fine settimana (ricordiamo anche “Unknown – Senza identità”, tra spy story e thriller), una segnalazione va a “127 ore”, il nuovo, coinvolgente film di Danny Boyle, l’autore inglese segnalatosi con l’arrabbiato “Trainspotting” e l’horror “28 giorni dopo”, arrivato a grande notorietà lo scorso anno con “The Millionaire”, un successo internazionale gratificato da ben otto Premi Oscar.

Se lì c’erano scenari estremamente movimentati, nel film di oggi all’apparenza ci si muove poco, anzi quasi per niente. All’inizio incontriamo Aron Ralston, giovane escursionista, deciso ad affrontare una nuova avventura in un canyon dell’Utah. Spavaldo e sicuro di sé, si cala in un cunicolo particolarmente stretto, senza valutarne le conseguenze. Così non è preparato agli imprevisti, e non riesce ad evitare che un masso distaccatosi dalla roccia gli precipiti sul braccio destro, schiacciandolo.

Costretto all’immobilità, deve fare appello a tutta la propria capacità di reazione per riuscire a sopravvivere. Trova un prezioso aiuto nella telecamera portatile che ha sempre con se e che, manovrandola con la mano libera, gli permette di aprire dialoghi immaginari con i genitori, la ragazza, altre persone che hanno segnato la sua vita. Passati poco più di cinque giorni, arriva il momento di prendere una decisione drastica. Che sarà dolorosa ma gli permetterà di restare in vita.

Si tratta di un episodio autentico, accaduto in un fine settimana dell’aprile 2003 nel selvaggio Canyonlands National Park dell’Utah. Protagonista il vero Aron Ralston, uscito da quella morsa appena in tempo per farsi curare e riprendere una vita «normale». Su quell’agghiacciante esperienza Ralston ha scritto un libro che è il punto di partenza del copione cinematografico. «Sapevo – dice il regista- di voler portare il pubblico nel canyon dove si trova Aron e lasciarlo lì finché il ragazzo non si fosse liberato. Aron ha attinto da una forza vitale che va ben oltre il coraggio ed è questo che speriamo di essere riusciti a catturare sullo schermo».

Sapendo già quale sarà la conclusione, appare più notevole la capacità di Boyle di creare una tensione emotiva e un’atmosfera di claustrofobia nella quale l’unica via d’uscita è legata alla videocamera che tiene vivo il resto del mondo e che si pone di fatto come coprotagonista rispetto a Ralston, unico personaggio in scena. Sia pure con qualche momento prevedibile, la pellicola funziona bene come diario di una delle tante sfide che l’uomo lancia alla natura, uscendone sconfitto. Ma solo fino a una successiva occasione.

28 febbraio 2011

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