Natale. Aprite gli occhi: la capanna è intorno a noi

L’accoglienza, porta di ingresso alla festa della Natività di Gesù. Chi sa vedere l’ultimo può vedere tut­ti. Condizione per ricevere l’annuncio: restare svegli

L’accoglienza è la porta di ingresso alla festa della Natività di Gesù. Chi sa vedere l’ultimo può vedere tut­ti. Condizione per ricevere l’annuncio: restare svegli

Anche quest’anno siamo quasi arrivati a Natale. Si dice che questa festa porti con sé serenità, gioia, pace… Ma quest’anno il clima non è dei migliori: girare per le strade e vedere militari armati, mezzi blindati, forze dell’ordine di ogni tipo schierate in atteggiamento di guerra, perquisizioni per entrare in chiesa… E se approfittassimo per rimettere ordine? Per ripensare il nostro modo di vivere, di stare in relazione con gli altri, vicini e lontani? Forse non sarebbe il “solito” Natale dei buoni sentimenti e poco più ma un’occasione alternativa, più ricca e più arricchente per continuare a portare avanti il peso della vita quotidiana con dignità e coraggio.

Ha detto Papa Francesco: «Questa è la domanda che il Bambino ci pone con la sua sola presenza: permetto a Dio di volermi bene? E ancora: abbiamo il coraggio di accogliere con tenerezza le situazioni difficili e i problemi di chi ci sta accanto, oppure preferiamo le soluzioni impersonali, magari efficienti ma prive del calore del Vangelo? Quanto bisogno di tenerezza ha oggi il mondo! Pazienza di Dio, vicinanza di Dio, tenerezza di Dio». Un bambino ci pone delle domande: e che domande! Saremo in grado di rispondere, di non fare brutte figure? La compassione è l’identificazione con chi, di vol­ta in volta, è ultimo, sia che riesca sia che non riesca a sopravvivere, come le tante vittime in mare delle “stragi degli innocenti” di oggi. Chi sa vedere l’ultimo può vedere tut­ti. La condivisione con i rifiu­tati ci spinge alla trasforma­zione di noi stessi per giunge­re a servire quella comunione felice tra tutti che è la verità della vita del mondo. E anche la verità è ultima. Non tanto perché debba avvenire solo alla fine dei tempi, quan­to perché molti continuano a scacciarla o a ignorarla. Chi co­nosce la compassione affron­ta le cause della sofferenza, ge­nera liberazione, si batte per la giustizia.

«Non delegate la carità a qualcun altro!», diceva un vescovo in una sua lettera pastorale. Non tanto perché non va bene dare del denaro, ma perché è necessario entrare in contatto con le persone, osare gesti fraterni. Il problema dei poveri è che nessuno ha bisogno di loro, anzi sono fastidiosi. Il senso profondo del Natale non è di aiutarli ma di aver bisogno di loro. «La mano che dà è sopra alla mano di chi riceve», diceva un proverbio africano. Bisognerebbe che la nostra mano fosse alla stessa altezza di quella con cui vogliamo condividere. La Santa Famiglia di Nazareth ci mostra come vivere la Natività del Figlio di Dio all’interno di un’atmosfera di sobrietà e di umiltà. L’accoglienza, atteggiamento spesso dimenticato nei nostri tempi, è la porta di ingresso alla festa della Natività di Gesù. Si stanno ancora aprendo le porte del Giubileo ma credo che tante dovranno ancora aprirsene, anzi, ancora di più, essere abbattute: quelle dei pregiudizi, dei rancori, delle discriminazioni. E non basta un “rituale”, non basta passare sotto uno stipite o un architrave: serve altro.

Il Natale è anche un tempo di raccoglimento, vigilanza, silenzio. Ridurre drasticamente l’uso della rete e dell’accesso ai vari social network, passare meno tempo davanti al televisore e ai vari giochi elettronici, potrebbero essere una valido rimedio per entrare nell’atmosfera di sorpresa del Natale. L’atteggiamento dei pastori di restare svegli per vegliare sul loro gregge è la condizione essenziale che li ha preparati a ricevere l’annunzio dell’angelo. La gioia più grande per noi sarà sentirci dire: «Avevo fame e mi a­vete dato da mangiare, ero bambino rom e non mi a­vete schedato, ero lavavetri e mendicante e non mi avete multato, ero straniero e non mi avete mandato in una classe differenziata, ero clandestino e non mi avete messo in un campo di detenzione, ero fuo­ri dai vostri schemi morali e non mi avete disprezzato. Ero la vostra felicità e ve ne siete accorti». Buon Natale a tutti. (Paolo Lojudice, vescovo ausiliare)

23 dicembre 2015