Apertura archivi Pio XII. Napolitano: «Le parole, possono condizionare il giudizio storico»
Hanno sorpreso le dichiarazioni di. Riccardo Di Segni. Lo storico chiede: “A che pro chiedere sempre la loro apertura se poi il giudizio sarebbe rimasto invariato, immutabile?»
«Le parole possono in qualche modo condizionare il giudizio storico anche per l’autorevolezza delle persone che le esprimono». È un invito a fare attenzione ai pareri che si pronunciano pubblicamente, il commento dello storico Matteo Luigi Napolitano alle dichiarazioni rilasciate lunedì 2 marzo dal rav. Riccardo Di Segni nel giorno in cui la Santa Sede apriva gli archivi dedicati al pontificato di Pio XII. Da parte del Vaticano, ha detto il rabbino, «non ci fu volontà di fermare il treno del 16 ottobre» del 1943, che deportò dalla stazione Tiburtina 1.022 ebrei prelevati dai tedeschi nel primo rastrellamento romano. E poi, sull’apertura degli archivi, sentenzia: «È molto sospetto questo sensazionalismo, con i fascicoli già pronti e le conclusioni facili proposte sul vassoio». Napolitano è docente dell’Università degli Studi del Molise e consulente del Pontificio Comitato di Scienze Storiche. Studioso del ruolo della Santa Sede durante le persecuzioni naziste, è stato tra i primi storici ad approfittare dell’apertura dei fondi archivistici della Santa Sede relativi al pontificato di Pio XII, (1939 – 1958) avvenuta il 2 marzo. Oggi commenta amareggiato: «Evidentemente rav. Di Segni ha ritenuto necessario anticipare un giudizio che, come lui stesso ricordava, andrebbe riservato agli storici. Lui stesso aveva detto che gli storici devono lavorare in silenzio, pazientemente. È un lavoro che richiede anni. Non riesco a capire».
L’ha quindi sorpresa questa reazione?
Si, mi ha sorpreso. Anche perché questa apertura degli archivi ha permesso la creazione di un sistema di digitalizzazione che consente a noi studiosi di entrare contemporaneamente sulla stessa pagina, sullo stesso documento. Pertanto, ognuno di noi potrà farsi un’idea delle stesse cose che vede, senza dipendere da domande cartacee e attese per la consultazione. Non credo ci siano al mondo archivi che abbiano questa capacità di accesso garantito agli studiosi. È il risultato di anni di lavoro. Un lavoro che non si è svolto senza difficoltà, anche dal punto di vista tecnico, che ha richiesto dei perfezionamenti tecnologici sempre maggiori ma che ha portato ad un traguardo straordinario.
Perché allora definire “sospetto” l’entusiasmo con cui si sono aperti gli archivi?
La mia sorpresa riguarda proprio questa considerazione. Nei dibattiti a cui ho partecipato, insieme agli amici studiosi ebrei, si è sempre parlato dell’importanza dell’apertura degli archivi vaticani. Quindi a che pro, chiedere sempre e continuatamente la loro apertura, se poi alla fine il giudizio sarebbe rimasto invariato, immutabile? Allora diciamo che gli archivi diventano inutili se il giudizio alla fine non cambia. E invece dovrà cambiare: probabilmente ci vorranno anni ma si è aperta una nuova stagione. Non c’era niente prima e ora c’è qualcosa e molto su cui studiare.
La reazione di Di Segni può essere spiegata dalle ferite ancora profonde e mai guarite che segnano quella pagine della storia?
Sì, penso anch’io che quel giudizio attenga a delle ferite dolorosissime, perché è di questo dolore che stiamo parlando, di un treno con 1.200 ebrei partito dalla Stazione Tiburtina il 18 ottobre ’43. A fronte di ciò, la storia ci consegna anche una maggioranza di ebrei che qui a Roma hanno avuto un altro destino, che non finisce nei campi di sterminio ma scompare molto spesso aiutato da persone semplici, da istituzioni cattoliche e dalla stessa Santa Sede. Questo sta emergendo. Ci sono dossier nominativi su alcuni casi e ce ne sono tanti e questo – immagino – verrà fuori ma ci vorrà tempo per studiare queste carte. Io, per esempio, mi sono imbattuto in un paio di casi molto interessanti di alterazioni di certificati di battesimo ad opera di persone, inserite nel partito, che per farlo hanno rischiato il Tribunale Speciale. Con questo voglio dire che dagli archivi sta emergendo una situazione molto complessa che va esaminata con serenità, con calma, con tranquillità. Quello che ha dichiarato il rabbino non muta assolutamente i rapporti con il Rabbinato, gli ebrei, tra gli storici. Credo che siano pareri personali, che non mi pare sia condivisi. Un giudizio più umano che scientifico, derivante da una storia dolorosissima.
Da storico che cosa si augura?
Ci vorrà tempo ma l’auspicio è che questa stagione nuova possa stemperare il dolore e aprire un nuovo dialogo storiografico fondato sulla fiducia, la stima e l’amicizia reciproca. Ma per farlo, occorre lasciare da parte i vecchi teoremi e le polemiche.
4 marzo 2020