Ansie e stress sui ragazzi, gli effetti del lockdown

I dati di uno studio: effetti devastanti sugli adolescenti. Preoccupa l’uso patologico di internet. Occorrono percorsi innovativi a sostegno delle famiglie

Nel dicembre scorso è stato pubblicato sulla rivista internazionale“Brain Science” uno studio mirato ad indagare sugli effetti del lockdown su bambini e adolescenti con patologie psichiatriche e neurologiche. La ricerca è stata condotta dall’Irccs Fondazione Stella Maris di Pisa, ospedale universitario di terzo livello che riceve pazienti fra i 18 mesi e i 18 anni provenienti da tutta Italia, attraverso questionari rivolti ai genitori. È emerso un quadro di significativo incremento di incidenza dei sintomi diversamente distribuito nelle varie fasce d’età: un aumento di sintomatologia ansiosa e somatica nella sottopopolazione di bambini più piccoli, fra 18 mesi e 5 anni, e un aumento di sintomi ossessivo-compulsivi, di stress post-traumatico e di sintomi di alterazione del pensiero nella popolazione dei bambini di età compresa tra 6 e 18 anni.

La fascia che mostra migliore resilienza è quella dei più piccoli, dei pre-scolari, come se l’età rappresentasse un fattore protettivo, e viene evidenziato anche come le problematiche connesse di tipo economico che si sono abbattute sui nuclei familiari abbiano rappresentato un fondamentale fattore di rischio. Le fasce più esposte allo stress emotivo, con forte incidenza di fenomeni depressivi, sono state e sono tuttora quelle preadolescenziale e adolescenziale, laddove si sono verificate esteriorizzazioni cliniche importanti, come la comparsa di somatizzazioni e la tendenza al ritiro, con conseguenze talvolta destrutturanti, fino ad effetti devastanti ed agiti dirompenti.

Ho potuto constatare, nella quotidianità del lavoro clinico, la forte incidenza dell’uso patologico di internet in questi mesi dell’emergenza sanitaria, con un vero e proprio corredo di sintomi che fanno scivolare verso una strutturazione di tipo psicotico grave. La forzata permanenza in ambito domestico ha comprensibilmente accentuato l’uso dei videogiochi e della navigazione sul web, con la conseguenza di slatentizzare meccanismi patologici o di rinforzarne la manifestazione. Si parla di “Pathological Internet Use”, con manifestazioni tipiche delle dipendenze: pensiero ossessivo, calo del controllo degli impulsi, incapacità di porre fine all’uso di Internet, sentire che Internet rappresenta l’unico rifugio, l’unico spazio in cui si sente bene ed è padrone della situazione, protagonista. Le cose che in precedenza gli davano piacere vengono tralasciate per questa altra fonte immediata di appagamento e di successo personale.

L’amicizia reale viene progressivamente sostituita dall’amicizia virtuale. Gli impegni abituali, in primis lo studio, passano in secondo piano, il tempo si disorganizza, focalizzandosi intorno all’esigenza di avere sempre più bisogno di dedicarsi alla consolle e allo schermo. Il genitore che tenta di riportare ad una gestione equilibrata del tempo non ha capito, è cattivo, diventa un ostacolo da aggirare in tutti i modi, un avversario addirittura da abbattere, come i nemici che si visualizzano nei videogiochi, contro i quali bisogna combattere con tutte le proprie forze.

Si innesca un braccio di ferro che porta allo stremo gli adulti, che si trovano in situazioni imprevedibili, surreali, venendo minacciati da figli che sembrano trasformarsi in mostri, privi di controllo degli impulsi, violenti e incapaci di accettare qualsiasi compromesso, pur di raggiungere il proprio obiettivo. Occorre, dunque, amplificare gli sforzi per fornire tutti gli spazi possibili di alleggerimento del carico delle famiglie, anche con percorsi innovativi, finalizzati a ridurre l’isolamento nel proprio mondo e la tendenza al ritiro. In questo senso, le iniziative messe in atto dalle scuole superiori per garantire la frequenza all’interno dell’istituto ai ragazzi con disabilità assumono una valenza enorme, in quanto agiscono proprio in questa direzione.

Mi è capitato di leggere un messaggio di una madre affranta per la decisione del dirigente di sospendere questo servizio, perché la perdita di tutte le routine connesse all’uscita per andare a scuola (prepararsi lo zaino, sbrigarsi la mattina, controllare se c’è la merenda, attendere l’incontro con il docente) rappresenta qualcosa di incomprensibile, inspiegabile, «di fatto per lui è Non Vita». Forse occorre un vero ripensamento dei nostri servizi allo scopo di finalizzarli a ciò che realmente serve, con le risorse presenti, perché spesso si tratta soltanto di riorganizzarle in modo funzionale. (Roberto Rossi, neuropsichiatra infantile)

15 gennaio 2021