Anoressia nervosa in aumento nei maschi

Lo psichiatra Lucio Rinaldi (Gemelli) sul caso del giovane torinese morto nei giorni scorsi. «È la principale causa di morte per patologie psichiatriche»

Anoressia nervosa. È questo il male che ha ucciso Lorenzo Seminatore, 20 anni, morto a Torino il 3 febbraio scorso. Una notizia diffusa solo nei giorni scorsi, sui cui interviene Lucio Rinaldi, dell’Unità operativa complessa di Psichiatria del Policlinico Gemelli, oltre che ricercatore del Dipartimento di Neuroscienze della Cattolica di Roma. «Prendersi cura dell’anoressia», spiega, un disagio emotivo che «si struttura dall’infanzia e si organizza all’interno dell’ambiente familiare», significa «dare ascolto alla sofferenza emotiva del paziente e dei familiari costruendo opportunità alternative al controllo del corpo, del cibo e delle relazioni che sono alla base di questa forma clinica».

Dati alla mano, Rinaldi spiega che l’anoressia nervosa «è la principale causa di morte per patologie psichiatriche, con un rischio di morte di 9/10 volte superiore a quello di persone dello stesso sesso e fascia di età, con una mortalità maggiore nelle fasi avanzate della malattia per complicanze quali denutrizione, squilibri elettrolitici e suicidio». Una patologia molto diffusa, per far fronte alla quale il Gemelli è tra le poche strutture in Italia ad aver adottato il Codice lilla, con un percorso clinico assistenziale dedicato alle persone con disturbi del comportamento alimentare.

L’esperto cita i dati del ministero della Salute secondo cui ogni anno ci saranno 8-9 casi ogni 100mila donne all’interno di una vasta gamma di disturbi dell’alimentazione, che riguarderebbero 3-4 milioni di italiani. Un ulteriore dato riguarda l’aumento dell’incidenza di anoressia nel sesso maschile: da 0,02 a 1,4 nuovi casi ogni 100mila persone. Per un approccio adeguato, avverte, sono fondamentali «una buona integrazione tra psicoterapia e farmacoterapia; la presenza di tutti i livelli di assistenza necessaria; la tempestività e la specificità delle cure in presenza di condizioni fisiche compromesse». Ancora, necessario anche «il monitoraggio delle risorse presenti sul territorio e il coinvolgimento della famiglia nel percorso terapeutico».

18 febbraio 2020