Angelo Branduardi, Camminando camminando in tre

Intervista al cantautore che si esibirà il 15 aprile all’Auditorium Parco della Musica con nuovi brani e vecchi successi. Quindi il tour in Europa

Intervista al cantautore che si esibirà il 15 aprile all’Auditorium Parco della Musica con nuovi brani e vecchi successi

«Camminando si raggiungono delle mete parziali, si cerca di non avere una meta definitiva perché quando la si raggiunge non si sa più dove andare. Camminare fa venire in mente i Cavalieri della Tavola rotonda che andavano cercando il Santo Graal, non so quanto coscienti del fatto che ci fosse e non ci fosse». Parole di Angelo Branduardi, il “menestrello” della musica italiana, che in quarant’anni di ballate medievali e testi aulici è riuscito a trapiantare nella canzone italiana le sue fiabe colte e popolari al tempo stesso. E “camminando” in tour, il cantautore di Cuggiono farà tappa dell’Auditorium Parco della Musica il prossimo 15 aprile per presentare “Camminando camminando in tre”, l’ultimo album che contiene 16 brani tra i quali un brano strumentale inedito. Nella Sala Santa Cecilia del Parco della Musica il prossimo 15 aprile suonerà insieme a Michele Ascolese, alla chitarra elettrica e acustica, Stefano Olivato a contrabbasso, basso, armonica a bocca, Leonardo Pieri a tastiere e fisarmonica e Davide Ragazzoni alla batteria e alle percussioni.

Il tour lo impegnerà fino all’autunno, tra Italia, Francia, Svizzera e Austria, ma girare l’Europa – anche metaforicamente – è sempre stato normale per uno che attinge al repertorio delle leggende popolari, soprattutto francesi, ma anche tedesche, inglesi, irlandesi, ebraiche per condurre gli ascoltatori in un mondo antico abitato da figure simboliche e personaggi universali, che diventano protagonisti delle sue ballate. Non un semplice concerto, anche stavolta, ma un viaggio fiabesco e coinvolgente, in cui il suono diventa magia e irrompe nella vita di ogni giorno, allontanandoci dal “qui e ora” e trasmettendo un modo diverso di vivere, nel quale gli spettatori vengono considerati “come giardini segreti magici, la mattina presto, in cui si entra a piedi nudi per non fare rumore”. Al centro, il suo ultimo lavoro, “Il Rovo e la Rosa – Ballate d’amore e di morte”, dove Angelo Branduardi ha ripescato a piene mani nella tradizione del periodo elisabettiano, puntando a saldare produzione pop e lavoro di ricerca, che resta il filo rosso di una antologia che proporrà, tra gli altri, i sempreverdi “La Luna”, “Confessioni di un malandrino”, “Il dono del cervo”. Sarà uno spettacolo per sottrazione, dove Branduardi cerca essenzialità e pulizia. Fuori gli arrangiamenti ricercati, dentro i silenzi, le giuste pause con l’obiettivo di permettere alle frasi musicali di respirare e di manifestarsi pienamente e in cui gli ascoltatori hanno il tempo di cogliere le suggestioni e gli umori, di percepire l’eco senza tempo di quegli antichi racconti popolari di amore e di morte, di incanti e avventure, tramandati per secoli e tutt’ora presenti nella memoria collettiva dell’Europa e oltre. È lo stesso Branduardi, intervistato di ritorno dalla tappa di Marsiglia, a svelarci qualche dettaglio del suo “cammino”.

Com’è strutturato il concerto che sta portando in tour?
È un concerto dicotomico, diviso in due parti, due tempi, come se ci fosse all’inizio il corpo, poi la mente, che portano a un diverso livello di coscienza. Sono due parti apparentemente all’opposto ma in realtà vanno a finire allo stesso punto. La prima parte è legata al tamburo; la seconda possiamo definirla musica dell’anima, dove è protagonista il silenzio, anzi direi che la musica diventa il silenzio tra le note. Ha un’ascendenza fortemente spirituale perché volge verso l‘alto, mente il ritmo lo associamo alla terra, anzi sotto terra, ha un aspetto più diabolico. Invece la musica dell’anima è una musica di spazi, di cose non dette, una musica per sottrazione.

Chi c’è in cammino con lei?
Con tutto l’aiuto possibile e immaginabile che può venire da altri, il mio è un cammino solitario, fatto anche di errori, di cadute, di andirivieni. A volte si sbaglia strada, ma è un cammino che finisce mai, perché dopo una meta ce n’è sempre un’altra.

Dei personaggi fiabeschi e non cantati, chi porta con sé?
C’è tutta una serie di riscoperte nel concerto, cose che da decenni non eseguivo. In generale, il bagaglio di più di 45 anni di musica uno se lo tira dietro con sé, non si può parcheggiare. Ogni concerto è diverso dall’altro, la musica segue il musicista, ma a volte va dove vuole lei.

13 aprile 2015