Ancora sangue in Myanmar. Legge marziale a Yangon

La lettera del segretario di Stato vaticano Parolin al presidente dei vescovi Bo: «La Chiesa si impegni nel processo di pace». La «preoccupazione» del Papa

Oltre 50 manifestanti uccisi ieri, 14 marzo, in uno dei giorni più sanguinosi in Myanmar, dopo il colpo di Stato che ha portato al potere la Giunta militare, il 1° febbraio scorso. Almeno 41 le vittime solo nella Capitale Yangon, dove, in due zone, è stata imposta la legge marziale. Da questa mattina poi, riferisce l’Agenzia Sir, è stato interrotto a tempo idneterminato l’accesso a internet sui cellulari, così come il wi-fi.

Nella tarda serata di ieri, centinaia di persone si sono sedute con le candele accese alzate all’incrocio principale su Hledan Road, nel centro di Yangon. Sempre ieri, nello Stato del Kachin, le Chiese cristiane hanno pregato insieme per la pace in Myanmar. Sulla sua pagina Facebook, l’ambasciata cinese ha detto che alcune «fabbriche sono state saccheggiate e distrutte e molti dipendenti cinesi sono rimasti feriti e intrappolati». Ha quindi chiesto al Myanmar di «prendere ulteriori misure efficaci per fermare tutti gli atti di violenza, punire gli autori in conformità con la legge e garantire la sicurezza della vita e della proprietà delle aziende e del personale cinesi in Myanmar».

Dal Vaticano intanto è il cardinale segretario di Stato Pietro Parolin a scendere in campo, inviando una lettera al cardinale Charles Bo, arcivescovo di Yangon e presidente della Conferenza episcopale del Paese, nella quale esprime la «preoccupazione» e la «fraterna solidarietà» di Francesco. Il pontefice, informa Bo dando notizia della lettera in un messaggio, chiede alla Chiesa del Paese di «impegnarsi nel processo di pace» e di incontrare tutte le parti interessate: il generale Min Aung Hlaing, il capo delle forze armate birmane che dal 1° febbraio guida il colpo di Stato; Daw Aung San Suu Kyi, la leader della Lega nazionale per la democrazia (Lnd), il partito democraticamente eletto alle elezioni di novembre, oggi agli arresti domiciliari; i leader della società civile e religiosi, tutti coloro che partecipano alle proteste civili.

«Il cardinale – scrive Bo – ha chiesto che la Chiesa del Myanmar trasmetta la preoccupazione e l’amore del Papa per questa nazione. Il segretario di Stato chiede inoltre che questo messaggio sia trasmesso a tutte le parti interessate e sollecita a unirci per trovare il bene più grande per tutti, soprattutto per soddisfare le speranze e garantire la dignità delle nostre giovani generazioni. La pace è possibile; la pace è l’unico modo – si legge ancora nel messaggio -. Il segretario di Stato, cardinale Pietro Parolin, chiede che l’intera comunità cattolica in Myanmar non risparmi gli sforzi in questa direzione». Ancora, nella sua lettera Parolin richiama i numerosi messaggi lanciati recentemente da Francesco, come «punti» di azione e di impegno per la Chiesa locale. Viene quindi espressamente ricordato l’appello lanciato all’Angelus del 7 febbraio nel quale il Papa ha chiesto a quanti hanno responsabilità nel Paese, di mettersi «al servizio del bene comune, promuovendo la giustizia sociale e la stabilità nazionale per un’armoniosa convivenza democratica». Il 3 marzo, l’appello è andato invece alla comunità internazionale, perché «si adoperi affinché le aspirazioni del popolo del Myanmar non siano soffocate dalla violenza». Quindi il ricordo della visita del pontefice in Myanmar, nel 2017, e dell’incontro con tutte le parti interessate.

«Forti del mandato e dell’incoraggiamento del Vaticano – scrive ancora l’arcivescovo di Yangon – noi Chiesa cattolica ci impegniamo, insieme a tutte le persone di buona volontà, nel compito di vedere questa nazione risorgere nella reciproca comprensione e pace». Quindi l’esortazione a «tutte le parti» in Myanmar a «cercare la pace. Questa crisi – le parole di Bo – non sarà risolta con gli spargimenti di sangue. Cerchiamo la pace! Le uccisioni devono cessare  immediatamente. Tanti sono morti. Il sangue versato – osserva – non è il sangue di un nemico. È il sangue delle nostre sorelle e dei nostri fratelli, dei nostri cittadini». E ancora: «Basta con le uccisioni. Basta con la violenza. Si abbandoni il sentiero delle atrocità e vengano rilasciate tutti gli innocenti imprigionati».

15 marzo 2021