Amnesty International: rifugiati ignorati durante la pandemia

Per l’organizzazione, campi sovraffollati e respingimenti potrebbero produrre nuovi focolai. «Assicurare cibo, acqua, cure mediche e sevizi igienico-sanitari»

Un’azione globale condivisa «per assicurare che centinaia di migliaia di migranti e rifugiati abbiano accesso adeguato a cibo, acqua, cure mediche e servizi igienico-sanitari». A sollecitarla è Amnesty International, nella convinzione che «il trattamento inumano cui sono sottoposti migranti e rifugiati nel mondo rischia di fermare i passi avanti nel contrasto alla pandemia da Covid-19». Per l’organizzazione internazionale infatti «se non si agirà con urgenza, il sovraffollamento dei campi e dei centri di detenzione produrrà nuovi focolai della pandemia». Non solo: il confinamento e le limitazioni ai movimenti, aggiungono da Amnesty, «hanno aggravato condizioni già drammatiche di vita, mettendo milioni di persone in pericolo di morire di fame o di malattie».

L’organizzazione denuncia anche che le azioni di molti governi sono state guidate da «discriminazione e xenofobia» e cita come esempio la Bosnia ed Erzegovina, che hanno, secondo Amnesty, intenzionalmente smesso di fornire acqua al campo di Vucjak per costringere gli abitanti a spostarsi altrove. Molti rifugiati vivono in condizioni economiche precarie e l’isolamento e il coprifuoco hanno reso ancora più difficile trovare di che sopravvivere. In Giordania, nel campo di Zaatari, l’isolamento ha impedito alle persone di svolgere qualsiasi tipo di lavoro e queste non sono più in grado di pagare anche i servizi minimi essenziali. Anche in Francia ad aprile, nel campo informale di Calais, cibo e acqua hanno iniziato a scarseggiare e il confinamento ha impedito di muoversi per comprare qualcosa da mangiare anche a coloro che avevano il denaro per farlo.

Ancora, negli Usa, dove continua a vigere un’agenda politica anti-immigratoria, tra il 20 marzo e l’8 aprile sono state rimandate indietro 10mila persone neanche due ore dopo il loro arrivo. Le autorità della Malesia hanno rifiutato l’approdo a un’imbarcazione di rifugiati rohingya alla deriva da due mesi, alla fine soccorsa dalla Guardia costiera del Bangladesh; nel frattempo però erano morte almeno 30 persone. Diverse centinaia di rohingya, denuncia Amnesty, sono in disperato bisogno di un intervento di ricerca e soccorso in mare. Altri governi hanno violato il diritto internazionale rimandando indietro persone con la scusa delle misure di contenimento della pandemia.

15 maggio 2020