All’Argentina l’immigrazione raccontata dai protagonisti

Sul palco 16 richiedenti asilo, ospiti del Cara di Castelnuovo di Porto. Il regista: «Vogliamo far vedere quello che i Tg non mostrano»

Sul palco 16 richiedenti asilo, ospiti del Cara di Castelnuovo di Porto. Il regista Vannuccini: «Vogliamo far vedere quello che i Tg non mostrano»

Il dramma dell’immigrazione raccontato da chi ha affrontato un viaggio in mare per fuggire dalla guerra e dalla fame. Questo lo scopo di “Respiro” opera in un unico atto di 80 minuti di Riccardo Vannuccini in scena al Teatro Argentina da martedì 28 giugno a giovedì 30 in occasione della Giornata Mondiale del Rifugiato.

Tutto esaurito per il debutto di uno spettacolo che vede calcare le scene, per la prima volta, 16 richiedenti asilo, tutti uomini, provenienti da Congo, Gambia, Somalia, Senegal, Nigeria e che sono ora ospiti del C.a.r.a, centro di accoglienza per richiedenti asilo di Castelnuovo di Porto, gestito dall’aprile 2015 dalla cooperativa Auxilium.

Sul palco anche sei attori professionisti della compagnia ArteStudio, già da anni impegnata con il progetto “Teatro in fuga”, e lo stesso Vannuccini. Il regista romano replica così il grande successo ottenuto lo scorso anno con “Sabbia”. «L’idea è quella di raccontare l’immigrazione forzata alla quale assistiamo da tempo con una trilogia intitolata “Teatro del deserto” – spiega –. Dopo “Sabbia” e “Respiro” il prossimo anno chiudiamo con “Africa bar”».

Il titolo, “Respiro”, vuole sottolineare l’unica differenza che esiste tra i vivi e i morti. «Questi ragazzi hanno alle spalle tutti storie complicate – prosegue Vannuccini –. Ci sono aneddoti per così dire comici, come i 100 scappati a bordo di un camion per raggiungere le coste libiche ed imbarcarsi ma che invece si sono persi nel deserto. E poi le storie tragiche di chi ha perso un amico o un familiare durante la traversata».

Una scenografia semplice, un copione costruito attorno a testi di mostri sacri della letteratura come il “Re Lear” di Shakespeare, “La terra desolata” di Eliot o “Agamennone” del drammaturgo greco Eschilo. Uno spettacolo con molta musica e canzoni che non ha lo scopo di lanciare un messaggio o spettacolizzare «un dramma epocale come quello dell’immigrazione – sottolinea Vannuccini –. Vogliamo far vedere quello che i telegiornali non mostrano. La speranza di queste persone, la loro paura, la loro voglia di ricominciare. In questo caso il teatro fa un lavoro al contrario perché per loro non è un modo per “ammazzare” il tempo mentre sono ospiti del centro di accoglienza, ma di investirlo».

La prima cosa che colpisce all’apertura del sipario è la lunga fila di scarpe, bicchieri di plastica, bottiglie, fogli, sistemati sul bordo del palco. «Rappresenta le conseguenze di naufragio – aggiunge il regista – Quello che il mare restituisce e porta a riva. Lo spettacolo si svolge in scene legate tra loro da un filo emotivo non un filo narrativo. È compito dello spettatore partecipare e lavorare di fantasia. Abbiamo allestito delle scene molto semplici come per esempio scope che diventano foreste, annaffiatoi che rappresentano la pioggia o contenitori rossi che divengono il sole».

Sul palco per la prima volta Yaya Giallo, fuggito dal Gambia dove sono rimasti la mamma e i fratelli. Già da adolescente sognava di fare l’attore. «Questa è stata per me un’esperienza importante perché mi è servita per distrarmi – racconta – Allo stesso tempo è stato emozionante perché mi ricorda la traversata in mare e i pericoli incontrati». La collaborazione tra la cooperativa Auxilium e la compagnia ArteStudio è nata lo scorso anno con “Sabbia”.

«Quando arrivano al c.a.r.a. questi ragazzi sono quasi dormienti – dice Fabiana Capasso pedagogista del centro di accoglienza – il teatro li risveglia e restituisce loro la dignità di persone. Inoltre vogliono rimuovere il loro passato e pensare al futuro. Sarebbe bello se l’attività teatrale si sviluppasse in ogni centro di accoglienza».

 

 

30 giugno 2016