Alice e il cibo, quando il mangiare è dipendenza

I mangiatori compulsivi: si conclude l’inchiesta sulle dipendenze e le associazioni di auto mutuo aiuto con gli “Overeaters anonymous”

I mangiatori compulsivi: si conclude l’inchiesta sulle dipendenze e le associazioni di auto mutuo aiuto con gli “Overeaters anonymous”

Alice è una bambina magra, ma a 4 anni inizia ad ingrassare. Alice ha sempre fame. Mangia in continuazione. Il cibo diventa la sua dipendenza, «come l’alcol o la droga». «Ogni preoccupazione mi apre lo stomaco – racconta oggi, a 57 anni -, ma anche ogni gioia o emozione improvvisa». Cambia la sostanza per la quale ci si rovina l’esistenza ma il pensiero ossessivo è lo stesso. «Se però per gli alcolisti o i narcotici il rischio di morire è immediato – precisa la donna -, tanto che basta mettersi alla guida in stato di ebbrezza e perdere la vita è un attimo, per le abbuffate non è così: il rischio di malattie mortali aumenta col tempo e, comunque, nessun vigile si sognerebbe di farti la multa se a tavola, poco prima, ti sei ingozzato».

Soprattutto il problema, in questi casi, sembra non riguardare gli altri che, anzi, individuano in quello che viene chiamato “mangiatore compulsivo” solo uno che ama gozzovigliare e che ai “salotti seri” preferisce un’allegra tavolata. La realtà, invece, è un’altra e non sempre chiara agli stessi uomini e alle stesse donne che vivono un rapporto conflittuale con il cibo. «Personalmente non ero consapevole della gravità dei miei comportamenti – racconta Alice -. Credevo di essere al centro del mio mondo, capace di smettere di mangiare quando volevo». E comunque il fatto che non si auto-procurasse il vomito, come fanno ad esempio gli anoressici, era per lei una rassicurazione che quegli attacchi di fame fossero naturali.

«Immagazzinavo tutto. Il cibo mi serviva da sedativo o da carburante». Disinteresse degli altri, dunque, meno che dei suoi genitori: «La famiglia non ha mai accettato questa condizione. I miei mi hanno portato dai dietologi ma mai da uno psicologo. Mio padre era disposto a spendere soldi in cure e farmaci ma mai ha accettato l’idea che il problema fosse di altra natura. E invece, se non si fosse opposto, forse avrei sciolto prima i miei nodi». Alice percorre così diverse strade per riuscire a dimagrire: «Mi sono persino sottoposta al bendaggio gastrico ma da 145 chili sono arrivata a pesarne 135. In pratica non avevo perso niente».

Dopo 7 anni da quell’intervento, «finalmente ho scoperto un mondo», dice. La donna entra in un gruppo di auto mutuo-aiuto, quello degli OA-“Overeaters anonymous”, che – come i gruppi nati per le altre dipendenze e già raccontati nella nostra inchiesta – ha accettato di istituire un tavolo di riflessione, sul crescente disagio psicologico nella società contemporanea, con il Centro diocesano per la pastorale sanitaria. «Ho scoperto, così, di essere malata». Il metodo terapeutico adottato dall’associazione è quello dei 12 passi elaborato dagli Alcolisti Anonimi.

«Funziona perché chiarisce la triplice natura della malattia, che è innanzitutto fisica, emotiva e, infine, spirituale perché facendo perno solo su se stessi, si scarta l’ipotesi che qualcuno, al di sopra di noi, possa invece aiutarci». “Qualcuno” che in questi gruppi chiamano “Dio” ma che è un «Dio come ciascuno può concepirlo»: religioso o no, è un concetto più ampio. Vuol dire maturare l’idea di doversi affidare ad «una forza superiore». Nella condivisione delle esperienze, da 12 anni Alice sente di essere rinata. Il suo rapporto con il cibo è diventato pacifico: «Non è più la cioccolata, ma la preghiera – conclude -, a sostenermi nei momenti difficili».

 

30 giugno 2015