Alfie Evans, una «vita inutile»: presto il distacco del ventilatore

Il giudice dell’Alta Corte britannica bacchetta i genitori per l’esposizione mediatica, rifiuta ogni ipotesi di trasferimento in Italia e rende esecutivo lo stop al supporto vitale richiesto dai medici: «È il suo miglior interesse»

La vita di Alfie Evans è «futile», cioè inutile, vana, e per questo la ventilazione assistita che contribuisce a mantenerlo in vita all’Alder Hey Hospital di Liverpool verrà rimossa in un giorno e in un’ora che non saranno rese note pubblicamente, almeno fino al momento in cui il piccolo non cesserà di vivere. È questo, in estrema sintesi, il risultato dell’ultima udienza sul caso, tenuta nella giornata di mercoledì 11 aprile, all’Alta Corte di Londra. Non cambia il copione rispetto alle attese e rispetto ai casi simili che hanno preceduto la sua vicenda: la giustizia britannica sancisce che il «miglior interesse» per il bambino è l’interruzione della ventilazione, azione che ne provocherà la morte. Una conferma del fatto che la prassi sanitaria e giudiziaria, nel Regno Unito, si sta orientando sempre più verso il completo abbandono di ogni opzione terapeutica nei casi di gravi condizioni cliniche, con l’attiva decisione di sospendere un presidio fondamentale come quello della respirazione assistita: una decisione che i sanitari britannici – in questo ultimo come in altri casi – perseguono anche senza il consenso e contro la volontà dei genitori o dei tutori dei bambini interessati, aprendo controversie giudiziarie che fin qui – dal caso di Charlie Gard in poi – hanno avuto un finale scontato.

Il giudice Hayden, chiamato a decidere nuovamente sul caso in seguito ad un’ulteriore richiesta dell’ospedale, ha negato alla famiglia Evans ogni richiesta, ad iniziare da quella di trasferire il paziente in un’altra struttura sanitaria. A tal fine era stato indicato in particolare l’Ospedale Bambino Gesù di Roma, che da tempo aveva manifestato la propria disponibilità al riguardo. Anche un’altra struttura italiana, l’Istituto neurologico Carlo Besta di Milano, aveva espresso la propria disponibilità a mettere a disposizione le proprie specificità diagnostiche nel campo delle neuroscienze, quantomeno per capire la reale patologia di Alfie, che non è mai stata identificata con una diagnosi certa. Ma al di là delle due strutture di Roma e Milano, il trasferimento in Italia avrebbe comunque cambiato la situazione di Alfie, giacché in nessun ospedale del nostro paese viene praticato, nella prassi medica, il protocollo seguito nel Regno Unito: il piano di cura, quando non si ha alcuna speranza di miglioramento clinico, comprende comunque la terapia del dolore e la palliazione, senza alcuna interruzione di supporto vitale capace di provocare in modo consequenziale la morte.

Gli avvocati della famiglia hanno con forza invocato il diritto di Tom e Kate, i giovanissimi genitori di Alfie, di curare il loro figlio ovunque ritenessero opportuno all’interno dell’Unione Europea ma la decisione del giudice non è andata loro incontro. E se nel precedente caso che fece discutere a livello internazionale, quello di Charlie Gard, i genitori del piccolo avevano alla fine acconsentito al distacco del ventilatore, arrendendosi di fronte ai pronunciamenti dei giudici e ai responsi medici che non indicavano possibile alcuna terapia, neppure sperimentale, nel caso di Alfie il padre e la madre sono rimasti fermi nella loro posizione di aperta opposizione alle volontà dei medici. Con un vero e proprio muro contro muro, giacché pesanti ombre sono state gettate sull’operato dei medici di Liverpool e sull’appropriatezza delle cure che nel corso degli ultimi lunghi mesi sono state attuate su Alfie. Dubbi e incertezze, documentate dalla famiglia, alle quali il giudice Hayden ha mostrato di non credere affatto, negando la necessità di qualsiasi ulteriore consulto medico-scientifico e utilizzando anzi parole dure nei confronti della famiglia.

«Il 20 febbraio scorso – ha affermato facendo riferimento alla sua precedente sentenza – arrivai alla conclusione che il cervello di Alfie era stato così corrotto dalla malattia mitocondriale che la sua vita era da considerare inutile». L’aggettivo utilizzato in lingua inglese è “futile”, quindi vano, futile, inutile (l’espressione completa è: «I came to the conclusion that Alfie’s brain had been so corrupted by mitochondrial disease that his life was futile»). «A seguito del mio giudizio – ha continuato il giudice riferendosi al padre del bambino – il signor Evans ha portato avanti il caso in Corte d’Appello, alla Corte Suprema e alla Corte dei diritti dell’uomo. Mi aveva detto che non avrebbe lasciato nulla di intentato ed è stato fedele alla sua parola. Il mio giudizio di allora è confermato. Il signor Evans a livello intellettuale si è dimostrato capace di cogliere la complessità delle prove mediche ma a livello emotivo non è stato assolutamente in grado di accettare la situazione. Ha compiuto 21 anni pochi giorni prima dell’inizio dell’udienza. Scaglia la sua rabbia contro chi vuole aiutarlo e i medici sono stati di volta in volta le vittime della sua ira. Medici che hanno dedicato la vita ai bambini malati e hanno sopportato gli insulti del signor Evans con straordinaria pazienza, generosità e gentilezza».

Giudicando «completamente errate» le argomentazioni dell’avvocato della famiglia, il giudice ha affermato che «i genitori e in particolare il signor Evans non sanno affrontare la realtà, continuando a sperare in una soluzione del tutto irrealistica: questo pomeriggio – ha infine affermato – ho approvato il piano che stabilisce le disposizione per la fine vita di Alfie. La sua attuale situazione è contraria al suo miglior interesse. Alla fine della sua vita Alfie ha diritto alla sua privacy: la data e l’ora del distacco del supporto vitale di Alfie rimarranno privati e non potranno essere resi pubblici». Di fatto, la sospensione della ventilazione può avvenire in qualsiasi momento.

La trattazione giuridica del caso Alfie Evans conferma in generale un orientamento ormai divenuto prevalente nella giurisprudenza inglese, che descrivendo come «inutile» la vita caratterizzata da estrema sofferenza e giudicando nel «miglior interesse» del paziente la sospensione di ogni supporto vitale, di fatto assume una decisione diretta sulla morte del minore di età, anche contro il volere dei genitori. Un inquadramento concettuale che mentre oltremanica sta diventando abituale, ad altre latitudini – e l’interessamento sul caso in parte lo dimostra – continua invece ad inquietare e preoccupare.

12 aprile 2018